In Italia gli ultracentenari continuano a crescere: secondo i dati più recenti, sono oltre 23 mila le persone che hanno superato i 100 anni. Una tendenza che racconta trasformazioni profonde nella demografia del Paese, ma che soprattutto invita a guardare alle singole vite dietro ai numeri. Tra queste, c’è quella di Marina Cipriani, che a Trecate ha appena festeggiato 105 anni, circondata dall’affetto di familiari e operatori della RSA che oggi la ospita.
La sua è una storia che attraversa quasi tutto il Novecento. Nata da una famiglia mantovana che gestiva un bar a Milano, conserva ricordi vividi di un’Italia fatta di lavoro duro e di spostamenti continui. Da giovane ha vissuto per un periodo a Brescia, prima di rientrare e sposarsi. «Dopo il matrimonio ho abitato a Romentino e poi a Galliate. Mio marito faceva l’imbianchino e il decoratore» racconta, ricordando di come ha accompagnato la crescita della sua famiglia. «Da giovane anche io ho lavorato nei campi, piantando tabacco, poi in fabbrica, e infine come casalinga» aggiunge con gli occhi e le mani di chi ha conosciuto il lavoro fin da giovane.
Ha cresciuto due figli, nati nel 1940 e nel 1942, e oggi può contare una discendenza che arriva fino ai trisnipoti. Parlando di loro, sorride: è una gioia vedere la famiglia allargarsi». Ammette però che «il mondo oggi è brutto», un’espressione che non nasconde preoccupazione, ma conserva la lucidità di chi porta ancora dentro la memoria della guerra: ricorda i bombardamenti a tappeto su Milano, ricorda la paura, ricorda un’Italia che non esiste più.
Tra i dettagli che emergono nella conversazione ci sono piccole immagini quotidiane che la rendono incredibilmente concreta: «Non amo troppo i dolci, ho sempre apprezzato la lettura e da autodidatta ho letto I Promessi Sposi» racconta, mentre ricorda di aver frequentato solo fino alla quinta elementare.
Parla della morte senza timore, con una calma che spiazza. Non è rassegnazione, né tristezza: è lucidità. «Quello che conta davvero è il tempo che abbiamo vissuto. Da giovani si crede di averne sempre davanti, mentre alla mia età il tempo lo si misura con più consapevolezza». E aggiunge che lei, di quel tempo, è contenta: un’affermazione che pesa più di molte celebrazioni, perché arriva da chi ha attraversato un secolo intero.
Marina è figlia di una generazione che ha conosciuto la durezza del lavoro nei campi e in fabbrica, la guerra e i suoi bombardamenti, la ricostruzione, il fermento del dopoguerra, l’Italia che cambiava e correva più veloce, fino a un presente che a volte stenta a riconoscere. Tenere insieme tutto questo non è scontato. La sua storia non è soltanto un traguardo anagrafico, ma una testimonianza viva di quello che siamo stati e di ciò che rischiamo di dimenticare. Nel piccolo di una stanza di RSA si conserva un secolo di vita italiana: e forse è proprio questo il senso profondo del raccontarlo.







