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Marco Colonna, Diego Miranda, Fabrizio Spera: “N-Est”

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Vorrei cogliere l’occasione dell’ascolto dell’ultimo lavoro di Marco Colonna (clarinetto basso, sax alto e flauto), Diego Miranda (contrabbasso) e Fabrizio Spera (batteria), intitolato “N-Est”, prodotto dall’etichetta polacca “Fudacja Slukaj”, per interrogarmi e riflettere su qualcosa (“anche” su qualcosa), che apparentemente non ha strettamente a che fare con la musica, ma che essendo nel novero delle mie grandi passioni, come le arti visive, non posso fare a meno di notare: la grafica di una copertina di un cd. Potrebbe non sembrare così importante, ma lo è. Se la copertina di un cd non fosse importante, nessuno impedirebbe ai musicisti di produrre dischi e cd (o tracce elettroniche), con copertine monocrome, anonime, senza illustrazioni.

C’è sempre qualcosa che lega la “cover” al contenuto musicale del cd e non si tratta necessariamente di creare allegorie visive del contenuto musicale; magari si tratta solo di una evocazione ideale, di una allusione, di un riferimento semantico. La copertina di “N-Est” è illustrata con un disegno di Zusa Ustjam che rappresenta uno strano albero, le cui radici attorcigliate formano un nido (del resto il titolo lascia anche pochi dubbi che si tratti proprio di un nido). Anche i rami dell’albero sono “sui generis”, poiché anziché dare frutti, producono un gigantesco uovo. Cosa c’entra tutto questo con il jazz? Deve c’entrare per forza; del resto lo confermano anche i titoli dei brani che portano tutti nomi di piante (ad eccezione del brano composto da Steve Lacy e che si intitola “Blues for Aida”); in particolare, si tratta spesso di fiori di Bach. E allora veniamo alla musica contenuta nel cd che appare subito profonda, ma non solo, anche lenitiva per le ferite dell’anima, come può esserlo una pianta officinale, stimolatrice di meditazione come può esserlo un bosco o un arbusto solitario.

Una musica che non viene però dal ventre profondo della terra, ma dalla radice della pianta, dalla zolla piena di vita potenziale. Ritmi e sonorità ctonie, apparentemente caotiche e disarticolate, come nel mistero della fertilità di un seme che si fa strada verso la superficie della terra. La musica di Marco Colonna sembra evocare il frammento greco pregno di promesse e denso di evocazioni, ma anche certa narrazione contemporanea; in particolare questi suoni così profondamente ispirati dalla natura, dalla terra e dai suoi ritmi, dai suoi sordi rumori, dai suoi sussulti, mi riportano alla mente le pagine straordinarie di “Al limite boschivo” di Peter Handke. E con questo ricordo che ascolto “Prunus”, pezzo spigoloso, un po’ come la trama dei rami della pianta di cui porta il nome. Poi ancora “Gelso”, pianta dalle forti radici e dai dolci frutti, “Zamia” pianta ricca e polposa, “Naoki”, slanciata attorno al suo esile tronco…

Quale legame di “necessità” unisce i nomi delle piante ai pezzi musicali? C’è sempre un intimo legame tra suono e natura; non è forse un legno naturale a costituire il clarino in cui Marco Colonna insuffla fino a generare un suono? Di cosa è fatto il contrabbasso di Dario Miranda? E le bacchette della batteria di Fabrizio Spera? Non c’è legame più antico che quello tra natura e strumento musicale. Poi quando ascolterete questo bellissimo, suggestivo ed intimo “N-Est”, dimenticate pure tutte queste mie divagazioni poiché nella musica, quella di qualità, in fondo, non c’è nulla da spiegare.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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