Al castello di Novara tra De Nittis, Boldini e Zandomeneghi

Ho deciso che ve la racconterò a modo mio, la mostra attualmente aperta al Castello di Novara “Boldini, De Nittis et les italiens de Paris” (aperta fino al prossimo aprile), anche perché, come si usa in provincia, nella recensione ufficiale, non si possono mai sollevare obiezioni o osservazioni critiche, ma nemmeno ironiche altrimenti si offendono tutti: organizzatori, addetti ai lavori, sindaco, assessori, ente per il turismo, glorie locali, pubblico, per poi non parlare della conseguente litania dei social, dove si dice che a Novara non si può mai fare niente, che tutti criticano e bla bla… E allora vi dirò dei quadri che mi sono piaciuti.

Certo che se si pensa al “Bal au Moulin de la Galette” di Renoir, di qualche anno prima, questo “Moulin de la Galette” di Federico Zandomeneghi del 1878 sembra un quadretto. In realtà non è affatto malvagio, anzi, lo preferisco e di molto agli stucchevoli soggetti di Boldini: in questa bella, piccola folla che attende di entrare nel celebre locale della Butte di Montmartre, si percepisce l’animazione naturale della strada, insomma quegli atteggiamenti normali portano Zandomeneghi più vicino a quella pittura da strada (per non ripetere sempre “en plein air”), che lo rende pienamente contemporaneo degli Impressionisti. Persino la pennellata mostra l’intenzione di scomporre la luce e qualche volta ci riesce pure bene. Molto meglio delle “Barbie boldiniane” tutte belletto e facce smunte da Instagram taroccato. Davanti al Westminster di De Nittis, se ci dovessimo chiedere perché Claude Monet è al Musée d’Orsay (e altrove naturalmente) e lui è (transitoriamente) al Castello di Novara, la risposta potrebbe essere tutta in questo quadro, un bel quadro, s’intende. L’opera è datata 1878, quattro anni dopo la nascita non ufficiale dell’Impressionismo, e Westminster è un soggetto piuttosto frequentato, in particolare da Claude Monet di cui ha fatto più versioni da angolazioni diverse, quasi tutte datate tra il 1900 e il 1904, quindi più tarde di quest’opera di De Nittis. Se però si guarda, con un minimo di attenzione il quadro, la differenza di tecnica e di stile appare evidente. Monet non esita a lasciare che sia la luce a modellare l’architettura e, ove presenti, le figure umane sono macchie. Invece il buon De Nittis costruisce col disegno, sia l’architettura che la figura umana, che appaiono irrimediabilmente poco moderne per quegli anni e ancora legate allo stile dei Salon ufficiali. Sarebbe bastato poco a De Nittis per entrare nell’Olimpo impressionista, sarebbe semplicemente bastato un po’ di coraggio.

Sempre restando al parigino di Barletta, non so perché, con tutto il rispetto per lui, ma la prima cosa che mi viene in mente guardando il suo “angolo di Place de la Concorde” è il gesto di Andy Sachs di 133 anni prima. Non ditemi che non vi ricordate di Andy… Forse sarà per l’effetto “immagine-simbolica” della sartina che attraversa la piazza trasportando un abito da sposa. Vi siete ricordati chi era Andy Sachs? Era la segretaria di Miranda-Anna Wintour-Meryl Streep, interpretata da Anne Hathaway nel film “Il diavolo veste Prada” che alla fine del film lanciava il telefono cellulare nella fontana della Concorde. A dire il vero, ogni volta che passo dalla Concorde sbircio nell’Hôtel Crillon, entro nel cortile de la Marine, osservo se garrisca la bandiera dell’Assemblée Nationale, guardo la dirimpettaia Madeleine, l’insegna di Chez Maxim’s e mi lascio rapire dall’infilata lampioni-fontana-obelisco-tour Eiffel dalla terrazza del Jeu de Paume, ma quasi mai penso a De Nittis e al suo quadretto. Però visto che sono nella nebbia della “brumal Novara”, mi ha fatto piacere lo stesso rivederla attraverso i suoi occhi nella mostra del Castello.

Il “Ritratto di Diego Martelli” di Federico Zandomeneghi del 1874 è sicuramente una delle opere più raffinate della mostra. Lo è per molti motivi. Il più evidente è certamente il taglio compositivo. Il critico sembra girarsi all’improvviso come richiamato dal “click” di una macchina fotografica. Eh già la macchina fotografica, il 1839 era passato da un po’, siamo nel 1874, ma la fotografia stava attraversando la sua epoca d’oro. Certamente, anche se in abiti più informali, sembra di essere di fronte ad un personaggio alla Fantin-Latour, una pittura domestica ma non dimessa, un omaggio al critico e mecenate italiano grande estimatore del “Realismo” francese. Dopo qualche anno Martelli fu ritratto da Edgar Degas, con risultati certamente meno brillanti.

E alla fine dovrò pur commentarlo un quadro del povero Giovanni Boldini, “il più grande illustratore di scatole di cioccolatini”, come diceva il mio professore di figura disegnata al liceo artistico, Giorgio Fonio. In verità tra le sue opere esposte al Castello di Novara, questa è quella che mi interessa di più. Mi piace vedere la Place de Clichy com’era nel 1874. Beh certo mentre Boldini esponeva questo panorama urbano nel Salon ufficiale, c’era chi era costretto, a causa del rifiuto degli organizzatori, ad esporre le proprie opere nello studio di un fotografo, (un tale Nadar), ma insomma il quadro non è niente male, magari un po’ pittoresco con le fioraie sempre tra i piedi, con l’imponente statua del Maresciallo Moncey nell’atto di difendere la patria dai Russi e con quel cielo che lo sovrasta che poteva benissimo essere di un quadro degli amici del fotografo (gli Impressionisti).

Insomma una capatina al Castello di Novara va fatta, quantomeno per queste opere ed un altro paio piuttosto godibili, magari lasciando a casa l’idea che per quattro mostre Novara sia diventata capitale della pittura ottocentesca, come dice il pannello alla fine della mostra. Però in fondo sappiamo che il peccato veniale di credersi capitale di qualcosa è radicato ovunque.

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Al castello di Novara tra De Nittis, Boldini e Zandomeneghi

Ho deciso che ve la racconterò a modo mio, la mostra attualmente aperta al Castello di Novara “Boldini, De Nittis et les italiens de Paris” (aperta fino al prossimo aprile), anche perché, come si usa in provincia, nella recensione ufficiale, non si possono mai sollevare obiezioni o osservazioni critiche, ma nemmeno ironiche altrimenti si offendono tutti: organizzatori, addetti ai lavori, sindaco, assessori, ente per il turismo, glorie locali, pubblico, per poi non parlare della conseguente litania dei social, dove si dice che a Novara non si può mai fare niente, che tutti criticano e bla bla… E allora vi dirò dei quadri che mi sono piaciuti.

Certo che se si pensa al “Bal au Moulin de la Galette” di Renoir, di qualche anno prima, questo “Moulin de la Galette” di Federico Zandomeneghi del 1878 sembra un quadretto. In realtà non è affatto malvagio, anzi, lo preferisco e di molto agli stucchevoli soggetti di Boldini: in questa bella, piccola folla che attende di entrare nel celebre locale della Butte di Montmartre, si percepisce l’animazione naturale della strada, insomma quegli atteggiamenti normali portano Zandomeneghi più vicino a quella pittura da strada (per non ripetere sempre “en plein air”), che lo rende pienamente contemporaneo degli Impressionisti. Persino la pennellata mostra l’intenzione di scomporre la luce e qualche volta ci riesce pure bene. Molto meglio delle “Barbie boldiniane” tutte belletto e facce smunte da Instagram taroccato. Davanti al Westminster di De Nittis, se ci dovessimo chiedere perché Claude Monet è al Musée d’Orsay (e altrove naturalmente) e lui è (transitoriamente) al Castello di Novara, la risposta potrebbe essere tutta in questo quadro, un bel quadro, s’intende. L’opera è datata 1878, quattro anni dopo la nascita non ufficiale dell’Impressionismo, e Westminster è un soggetto piuttosto frequentato, in particolare da Claude Monet di cui ha fatto più versioni da angolazioni diverse, quasi tutte datate tra il 1900 e il 1904, quindi più tarde di quest’opera di De Nittis. Se però si guarda, con un minimo di attenzione il quadro, la differenza di tecnica e di stile appare evidente. Monet non esita a lasciare che sia la luce a modellare l’architettura e, ove presenti, le figure umane sono macchie. Invece il buon De Nittis costruisce col disegno, sia l’architettura che la figura umana, che appaiono irrimediabilmente poco moderne per quegli anni e ancora legate allo stile dei Salon ufficiali. Sarebbe bastato poco a De Nittis per entrare nell’Olimpo impressionista, sarebbe semplicemente bastato un po’ di coraggio.

Sempre restando al parigino di Barletta, non so perché, con tutto il rispetto per lui, ma la prima cosa che mi viene in mente guardando il suo “angolo di Place de la Concorde” è il gesto di Andy Sachs di 133 anni prima. Non ditemi che non vi ricordate di Andy… Forse sarà per l’effetto “immagine-simbolica” della sartina che attraversa la piazza trasportando un abito da sposa. Vi siete ricordati chi era Andy Sachs? Era la segretaria di Miranda-Anna Wintour-Meryl Streep, interpretata da Anne Hathaway nel film “Il diavolo veste Prada” che alla fine del film lanciava il telefono cellulare nella fontana della Concorde. A dire il vero, ogni volta che passo dalla Concorde sbircio nell’Hôtel Crillon, entro nel cortile de la Marine, osservo se garrisca la bandiera dell’Assemblée Nationale, guardo la dirimpettaia Madeleine, l’insegna di Chez Maxim’s e mi lascio rapire dall’infilata lampioni-fontana-obelisco-tour Eiffel dalla terrazza del Jeu de Paume, ma quasi mai penso a De Nittis e al suo quadretto. Però visto che sono nella nebbia della “brumal Novara”, mi ha fatto piacere lo stesso rivederla attraverso i suoi occhi nella mostra del Castello.

Il “Ritratto di Diego Martelli” di Federico Zandomeneghi del 1874 è sicuramente una delle opere più raffinate della mostra. Lo è per molti motivi. Il più evidente è certamente il taglio compositivo. Il critico sembra girarsi all’improvviso come richiamato dal “click” di una macchina fotografica. Eh già la macchina fotografica, il 1839 era passato da un po’, siamo nel 1874, ma la fotografia stava attraversando la sua epoca d’oro. Certamente, anche se in abiti più informali, sembra di essere di fronte ad un personaggio alla Fantin-Latour, una pittura domestica ma non dimessa, un omaggio al critico e mecenate italiano grande estimatore del “Realismo” francese. Dopo qualche anno Martelli fu ritratto da Edgar Degas, con risultati certamente meno brillanti.

E alla fine dovrò pur commentarlo un quadro del povero Giovanni Boldini, “il più grande illustratore di scatole di cioccolatini”, come diceva il mio professore di figura disegnata al liceo artistico, Giorgio Fonio. In verità tra le sue opere esposte al Castello di Novara, questa è quella che mi interessa di più. Mi piace vedere la Place de Clichy com’era nel 1874. Beh certo mentre Boldini esponeva questo panorama urbano nel Salon ufficiale, c’era chi era costretto, a causa del rifiuto degli organizzatori, ad esporre le proprie opere nello studio di un fotografo, (un tale Nadar), ma insomma il quadro non è niente male, magari un po’ pittoresco con le fioraie sempre tra i piedi, con l’imponente statua del Maresciallo Moncey nell’atto di difendere la patria dai Russi e con quel cielo che lo sovrasta che poteva benissimo essere di un quadro degli amici del fotografo (gli Impressionisti).

Insomma una capatina al Castello di Novara va fatta, quantomeno per queste opere ed un altro paio piuttosto godibili, magari lasciando a casa l’idea che per quattro mostre Novara sia diventata capitale della pittura ottocentesca, come dice il pannello alla fine della mostra. Però in fondo sappiamo che il peccato veniale di credersi capitale di qualcosa è radicato ovunque.

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Mario Grella

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.