Casaleggio

Grifoni: «In una situazione drammatica, ci guadagna solo la criminalità. Questo è il vero disastro»

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È stato in silenzio per settimane, non ha voluto rilasciare dichiarazioni, preferendo lavorare nell’ombra. Qualche giorno fa, invece, ha preso carta e penna e ha inviato una lettera aperta al presidente del Consiglio Conte esprimendo tutta la sua preoccupazione. Maurizio Grifoni, presidente di Confcommerdio Alto Piemonte sostiene che in questo momento il Governo stia sbagliando, ma anche che le persone non siano consapevoli di quello che sta accadendo: «I provvedimenti introdotti, pur lodevoli nelle intenzioni, sono del tutto sbagliati nella loro formulazione logica. Si continua a sparare nel mucchio, mentre sono da colpire i singoli comportamenti di persone e imprese. Se in auto passo con il rosso, non fermo tutto il traffico, ma sanziono chi non sta alle regole. Durante l’estate nessuno si è preoccupato di rispettare le norme che continuavano a essere in vigore e oggi, la maggior parte delle persone che si stracciano le vesti, sono quelle che non portavano la mascherina, che negavano l’esistenza del virus. Chi governa, però, sapeva che sarebbe arrivata una seconda ondata, che avrebbero riaperto le scuole, che i trasporti sarebbero stati un problema, ma nulla è stato fatto per affrontare queste situazioni».

 

 

Parliamo del suo settore, è possibile quantificare i danni?
Il danno economico è enorme, negozianti e ristoranti hanno affrontato la chiusura precedente con grande fatica mettendo mano al protafoglio, indebitandosi, si sono preparati ad affrontare l’emergenza, hanno fatto operazioni costose. Adesso si ritrovano con tutti questi sforzi vanificati e anche chi si è comportato bene, e le garantisco che è la maggior parte, oggi si ritrova nella stessa situazione di chi se ne è fregato. Se i negozi sono chiusi nel weekend, perdono il 50% dell’incasso, ma l’aspetto più tremendo è che se il valore di un’azienda pre pandemia era di 100 oggi è di 20. Pensi a chi per trent’anni ha lavorato facendo una vita di sacrifici e ora si pone la lettigima domanda se ne valga ancora la pena. Molti hanno solo voglia di togliersi quello fardello e non possono fare altro che svendere la propria attività a chi è lì pronto per approfittarsene.

Si spieghi meglio.
Ho il dubbio che a qualcuno questa situazione faccia comodo, perchè la diffusione del disastro sociale alimenta la criminalità che si insinua con l’usura e il ricatto. Una criminalità in grado di fare affari sulla pelle dei disoccupati. E questo significa che la parte migliore del Paese se ne sta andando. Ribellarsi in piazza vale fino a un certo punto perchè poi non si riesce più a governare la situazione e ci sono infiltrazioni, come abbiamo visto. Nei mesi scorsi, quando ho preferito non farmi sentire, è stato perchè ho scelto di lavorare per la categoria, perchè serviva parsimonia nel pensiero e nelle parole, perchè quando le cose vanno male bisogna stare attenti a quello che si dice e a quello che si fa.

Come se ne esce, allora?
Il problema è che l’Italia è un Paese che ha un’idiosincrasia per le regole, ma solo con i comportamenti personali adeguati possiamo uscirne. Poi se ci sono politici che minimizzano e che hanno iniziato a mettersi la mascherina dopo sei mesi di pandemia, è detto tutto. È un momento in cui tutti noi dobbiamo costruire un complesso di opinioni che possa portare al ravvedimento del Governo da provvedimenti scellerati, colpendo comportamenti singoli con multe salate; trovare confronto con i sindacati e le varie associazioni di categoria per gestire il nostro vissuto in modo smart ma intelligente in tema di scuola, lavoro, trasporti, cultura. Ma tutto ciò si può fare solo con un sistema di educazione civica soprattutto nei giovani che, mi spiace dirlo, ma sono i più refrattari.

Ribellarsi, dunque, ma in che modo?
Ribellarsi significa farsi sentire e costringere al confronto perchè, ammesso che sia vero, molte situazioni alterate e manipolate di cui siamo all’oscuro verrebbero fuori. Serve una spinta forte di carità intelletturale affinchè qualcuno si spenda davvero per il bene del Paese. Ottant’anni fa i nostri nonni erano pronti a sacrificare la propria vita per la Patria, noi cosa siamo disposti a sarificare? Nulla probabilmente. E allora qual è il nostro collante? Forse non ne abbiamo uno, dunque non siamo una comunità, nè un popolo e nemmeno una Nazione.

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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