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Don Natale Allegra va in pensione: «Ho ricevuto tante minacce, ma continuo a fare politica»

Cinquantasei anni di sacerdozio, trentotto dei quali trascorsi a capo delle Parrocchie unite del centro. Don Natale Allegra, 80 anni, originario di Baveno, domani, domenica 1 novembre, andrà ufficialmente in pensione e dalla storica abitazione di via Gaudenzio Ferrari, si trasferirà dalle suore dell’Istituto Sacro Cuore di via Solferino dove farà il cappellano.

Arrivato a Novara nel 1977 con l’incarico di assistente dell’Azione cattolica e segretario negli uffici diocesani, don Natale è stato un precursore delle unità pastorali lavorando per l’unione delle sei chiese che del centro città (Duomo, San Gaudenzio, Sant’Eufemia, San Marco, Rosario, Monserrato) segnando un passo importante nel percorso della comunità novarese.

«Abitavo in un casa privata vicino alla Basilica – racconta don Natale – e davo un mano al parroco, monsignor Mario Quaglia, che era molto anziano; ho fondato l’Acr, l’Azione cattolica dei ragazzi e nel 1982 sono stato nominato parroco di San Gaudenzio; in quegli anni, infatti, le parrocchie del centro erano ancora separate e ognuna aveva il proprio sacerdote. Fin dal 1973, però, c’era già nell’aria l’idea dell’unione pastorale grazie all’intuizione del vescovo Cambiaghi che, tuttavia, era stato molto osteggiato da chi aveva paura di scardinare le gerarchie ecclesiastiche ed era contrario a quello che stabiliva il Concilio Vaticano II: favorire una gestione anche laicale della Chiesa. Così ho cercato di riprendere quell’idea e l’ho sviluppata con il pieno appoggio del vescovo Del Monte e di monsignor Zaccheo e nel 1992 è avvenuta la costituzione delle Parrocchie unite del centro con un parroco moderatore e gli altri a sostegno: dal punto di vista ecclesiale un’unica parrocchia, mentre dal punto di vista civile le sei parrocchie separate. Progressivamente la situazione è andata evolvendosi verso un unico consiglio pastorale e ormai le parrocchie funzionano come una sola tanto che io sono diventato l’unico parroco e con il mio successore le sei chiese diventeranno una sola anche sotto l’aspetto civile».

 

 

Si può parlare di esperienza pilota che ha fatto da esempio ad altre realtà.
Abbiamo costituto una delle prime unità pastorali di tutta Italia tanto che sono stato consultato da una serie di diocesi che volevano seguire questo esempio e ora ce ne sono moltissime. Un percorso che è evoluto verso un concetto di vicariato moderno: un tempo era legato solo al clero che si trovava insieme per pregare; il Concilio invece ha portato alla valorizzazione della Chiesa locale: il vicariato non più come una struttura ecclesiastica legata al clero, ma ecclesiale legata al territorio con i suoi problemi e necessità. E questo è stato l’obiettivo anche del centro di Novara: la costruzione di una pastorale organica nella valorizzazione dei ministeri, nei contenuti e nelle strutture. Questo era l’obiettivo comune: annunciare lo stesso Vangelo ma secondo le esigenze di quel territorio con tutti i suoi problemi civili e sociali. Abbiamo impiegato quasi quarant’anni per far passare questo concetto, ma alla fine ci siamo riusciti.

Oltre alla costituzione dell’unità pastorale, quale era l’esigenza di riunire le sei parrocchie?
Sono le più antiche di Novara e anche quelle che l’hanno fondata, però nel corso dei decenni sono diventate anche le meno popolose e con una grande mutevolezza della popolazione: non solo residenti, ma pendolari, dirigenti e impiegati delle istituzioni, persone che frequentano l’ospedale. Era un’operazione essenziale per un territorio così piccolo e con così tante chiese, un’esigenza di razionalizzare il tessuto parrocchiale rendendolo più omogeneo. Stesso discorso vale per gli oratori: ce n’erano sei, ora l’unico che riunisce tutti è l’oratorio del centro città che si trova a Sant’Eufemia.

Cosa è cambiato in questi in quarant’anni?
L’ispirazione fondamentale della nostra vita pastorale era quella di fare del centro un’unica comunità perché non ne esisteva una vera e propria. Quello che è cambiato è il tessuto culturale: anni fa prevaleva il devozionalismo con varie forme espressive; ultimamente, invece, è cresciuto l’individualismo perché molte persone del centro non hanno radici come succede per altre parrocchie della città; come dicevo prima, molte persone sono solo di passaggio, qui ci lavorano e basta non creano elementi sociologici sufficienti per sviluppare un senso di appartenenza. Quindi è stato molto più difficile creare una comunità e, non avendo un’unica chiesa, è stato anche complesso avere una conoscenza capillare delle persone.

Come il Covid ha modificato il modo di frequentare i luoghi della comunità?
In modo deleterio: almeno il 50% delle persone che prima andava a messa, ora non ci va più. Questo non è solo paura del virus, che certamente non lo so prende andando in chiesa, ma è il segno della perdita del senso comunità. Di qui l’individualismo religioso: non faccio parte di una comunità che partecipa insieme, ma decido io quando ho voglia di pregare. Molti si chiedono: perché devo perdere un’ora di tempo per uscire e andare a messa? La guardo il tv e faccio prima.

Però il culto di San Gaudenzio per Novara è inviolabile?
Quello, però, è un culto popolare prima ancora che religioso, fa parte di una tradizione tipica di tutta la città e dell’hinterland. Risponde all’esigenza di mantenere delle radici; anche il Papa è favorevole a questo indirizzo perché il cristianesimo non è fatto per le élite, ma per tutta la gente ed è di per sé una religione popolare. Tutti elementi che possono utili, ma ovviamente la devozione va nutrita di fede altrimenti si rischia di assistere alle ben note processioni della mafia, agli inchini alla Madonna e ai rosari nei comizi politici.

Questo è un argomento più che attuale.
Che però è sempre esistito. Nel corso degli anni ho ricevuto accuse e minacce da persone che volevano sentire parlare solo ed esclusivamente di preghiera e non di problemi sociali che sono al di fuori del loro orizzonte. La maggioranza delle persone ha capito per fortuna, ma ci sono alcune fasce di popolazione che accettano che si parli contro l’aborto o a favore della famiglia tradizionale, ma non contro la corruzione perché, secondo loro, è un discorso che non c’entra con la fede. In politica le destre si ergono a grandi difensori della famiglia e della vita nascente; la sinistra che chiede la pace e la solidarietà tra i popoli è accusata di pensare solo a quello.

A proposito, lei è stato per tanti anni presidente della Caritas diocesana di Novara: in che modo l’Italia sta affrontando il tema dell’accoglienza e dell’immigrazione?
Ci sono rigurgiti individualisti molto più accentuati rispetto al passato: il sovranismo, il “prima gli italiani” sono il segno di chi ha perso di vista il senso della solidarietà internazionale. Un concetto richiamato anche dall’ultima enciclica del Papa, “Fratelli tutti”. Invece guai a dire fratelli tutti: la scorsa settimana ho trovato nella mia buca delle lettere un biglietto anonimo che diceva “potevi andare via prima, tu hai distrutto il centro città, molta gente non va più a messa quando sa che la celebri tu perché parli solo di denari e di negri”. Quante volte per le feste di San Gaudenzio ho trovato lettere anonime che recitavano “maledetti musulmani che sverginano le nostre ragazze”. E quante minacce ho ricevuto quando ero direttore della Caritas; tutto ciò fa capire quale sia il clima.

E come si fa a uscire da questo clima?
Continuando a predicare il Vangelo perché molti di questi fenomeni sono la conseguenza dell’ignoranza religiosa. Quando si dice “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” significa proprio questo: per secoli c’è stata gente che ha letto il Vangelo vedendo quello che Gesù diceva ma pensando che fosse rivolto solo agli altri.

Però è diventata anche una questione politica.
Perché alle spalle di certi politici c’è una visione del mondo sbagliata. Prendiamo i principi della Lega, ad esempio: non si è capito che alla base non c’è un problema politico, ma ideologico e dunque antievangelico. Il “prima gli italiani” non ha senso evangelicamente parlando perché Gesù non ha mai detto “prima gli ebrei”, ma sempre “prima i poveri”. Un paio di settimane fa una signora, che aveva assistito alla mia messa in Basilica, mi ha accusato di fare politica. Sì certo perché? Le ho risposto. Anche Gesù ha fatto politica: quando diceva che bisognava privilegiare i poveri, ad esempio, faceva politica.

Qual è il suo concetto di politica?
L’assunzione di tutti i valori evangelici all’interno del territorio e della vita della gente. Noi non possiamo sposare un partito perché nessuno di quelli esistenti sostiene politicamente tutti i principi evangelici.

Questo, però, anche in nome di una laicità dello Stato.
Sì però bisogna anche fare in modo che il concetto di cristiano entri in politica la quale deve superare i partiti che, al contrario, sono strumenti per fare politica ma non la politica stessa. Su questo ci possono anche avere pareri discordanti, ma da qualunque parte si guardi, dalla Lega al Partito Democratico, il cristiano deve sempre chiedersi: che cosa ha detto Gesù?

Allora, secondo lei, solo chi è credente è in grado di fare politica?
Non è così e ce lo insegna il Papa: “Fratelli tutti” è tesa a promuovere in tutte le religioni i consensi che sono prima di tutto umani. Quando io rivendico un principio, valuto se è solo ecclesiastico oppure se è anche umano. Uno Stato che impone a tutti di andare a messa, sarebbe uno Stato etico; ma se dice di non uccidere, questo è un principio umano. Il compito della Chiesa è di far capire che i principi del Vangelo sono sostanzialmente principi prima umani che religiosi. Se un principio è umano allora ci si può chiedere: cosa ti dà in più il Vangelo? I comandamenti, ad esempio, seppur in forme diverse, sono principi su cui tutta l’umanità si ritrova: tutte le religioni hanno il principio di non uccidere, il problema è far capire che questo vale per tutti non solo per qualche categoria di persone. Dunque: non solo non rubare, ma beati i poveri; non solo non uccidere, ma beati i miti. Il diritto naturale non è fatto dalla summa delle opinioni delle persone, ma dal significato che ha il principio stesso: anche se tutti gli uomini fossero ladri, il principio di non rubare varrebbe comunque per tutti. Per questo il Papa viene osteggiato, perché ha una visione sincretistica delle religioni. Lui però non dice questo, piuttosto che tra le varie religioni si può condividere qualcosa pur essendo di opinioni diverse. Lo diceva già Sant’Agostino: in tutte le culture ci sono segnali della presenza di Cristo. Anche nelle religioni non cristiane ci sono segnali perché tutti cercano la salvezza.

In tema di politica, qual è stato il suo rapporto con le amministrazioni comunali e i sette sindaci che si sono susseguiti dal 1982 a oggi?
Tutte le amministrazioni hanno avuto attenzione per la Basilica e la sua gestione e per il valore radicato nella città. Quello che non sono riuscito a compiere, ma non è colpa di nessuno, è di inserire almeno un membro nominato dalla Diocesi all’interno della Fabbrica Lapidea, l’ente con cui il Comune dialoga per la gestione di San Gaudenzio e che è composto da consiglieri tutti nominati dal Comune stesso. Non nascondo di aver avuto anche qualche contenzioso sulle attribuzioni dei lavori in Basilica. Difficoltà che però non hanno mai creato conflittualità. Mi piacerebbe che si arrivi a un concordato per condividere gli interventi con la parte religiosa anche perché nè la Diocesi nè il Comune hanno le risorse per tenere in piedi la Basilica; la principale fonte è sempre stata la Fondazione Bpn senza la quale non avremmo potuto fare nulla tra cui il restauro del patrimonio pittorico.

Al suo successore, don Renzo Cozzi, cosa augura?
Di portare a termine i due principi fondanti: la costituzione di un’unica comunità in centro città depositaria delle tradizioni gaudenziane perchè possano essere vive nelle generazioni future, anche quelle che vengono dall’estero, africani e asiatici, ad esemlio, che non possiamo continuare a trattare come intrusi. Inoltre che questa costituzione di una parrocchia unica anche dal punto di vista civile possa continuare a essere un punto di riferimento per tutte le attività del territorio in un dialogo continuo con un’attenzione primaria ai poveri.

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Cecilia Colli

Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

0 risposte

  1. Pensare che tra i banchi della chiesa siedano accanto a noi persone come quelle che ha citato Don Natale, razzisti autori di infami lettere anonime, fa rabbrividire, ma sapere che in chiesa ci siano state persone come lui rassicura. Grazie Don Natale.

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