«Spesso gli uomini dicono: mi ha fatto arrabbiare e ho reagito. Ma dietro quella rabbia ci sono altre emozioni che non vengono riconosciute, né espresse. Il nostro lavoro parte da lì». A parlare è Paolo Granetto, coordinatore operativo del Centro per uomini autori di violenza (CUAV) di Borgomanero e di quello di Novara. Da cinque anni lavora con uomini che hanno agito comportamenti violenti e che decidono o vengono indirizzati a intraprendere un percorso di cambiamento.
I CUAV nascono prima ancora dell’introduzione del Codice Rosso, ma quella legge ha segnato un passaggio importante: oggi chi viene condannato per reati di violenza con sospensione di pena, come condizionale, viene destinata la partecipazione a un percorso in uno dei Centri per autori. «Dal 2019 in poi – racconta Granetto – gli accessi sono aumentati moltissimo: in alcuni casi anche del 100%. Prima erano per lo più uomini che decidevano autonomamente di intraprendere il percorso, ora invece sono molti di più quelli inviati dall’autorità giudiziaria».
In provincia di Novara esistono già tre centri riconosciuti e finanziati dalla Regione: quello di Borgomanero (gestito dal CISS di Borgomanero), quello di Novara, gestito dalla cooperativa Elios, all’interno di una coprogettazione con il Comune e con la cooperativa Liberazione e Speranza e quello gestito dal Cisas di Castelletto Ticino.
Ora la Provincia ha chiesto il riconoscimento di un quarto centro, a conferma di una rete in espansione. Una crescita che la Regione ha recentemente riconosciuto ufficializzando l’iscrizione della Provincia di Novara al registro regionale dei CUAV. L’assessora regionale alle Pari Opportunità Marina Chiarelli ha definito il novarese «un modello innovativo nel contrasto alla violenza sulle donne», sottolineando che la presenza dei centri per uomini autori di violenza «rappresenta un passo avanti reale nella prevenzione, per spezzare il cerchio della violenza una volta per tutte».
Ma cosa succede all’interno di un centro? Granetto spiega che gli uomini vengono accolti in percorsi individuali o di gruppo che li accompagnano a riconoscere la violenza agita e ad assumersene la responsabilità. L’utenza è eterogenea, con un’età media di circa 45 anni e provenienze diverse, anche se la maggior parte dei casi riguarda violenza agita in ambito familiare. «Lavoriamo anche sull’educazione emotivo-affettiva – racconta ancora – perché la cultura in cui viviamo insegna agli uomini, per esempio, che l’uomo deve essere forte e questo implica che “non devi piangere”. Di fatto si tratta di un’imposizione culturale rivolta al maschile a reprimere le proprie emozioni. Gli uomini fanno fatica a riconoscere il proprio mondo emotivo e a parlare della propria intimità. Dietro la rabbia, molto spesso, ci sono altre emozioni: paura, vergogna, senso di inadeguatezza. Portarle alla luce è il primo passo per cambiare».
Nei centri operano professionisti specificamente formati: educatori, psicologi, operatori sociali. La rete è un elemento fondamentale, sottolinea Granetto, perché consente di condividere informazioni e comprendere meglio la situazione complessiva dell’uomo e della sua famiglia. «Lavoriamo in collegamento con i servizi sociali, i centri antiviolenza, le forze dell’ordine. È solo in un’ottica di rete che si può costruire un intervento efficace, capace di prevenire nuove violenze». Proprio sul fronte della rete antiviolenza, la Regione Piemonte ha approvato nei giorni scorsi un nuovo piano da oltre 500 mila euro destinato anche al territorio novarese, per potenziare i servizi a sostegno delle donne e dei loro figli.
Nel frattempo il CUAV di Borgomanero, insieme al Centro Antiviolenza e un Gruppo di condivisione maschile a cui ha dato vita, prepara un’iniziativa di sensibilizzazione in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Si intitola “I panni sporchi si lavano in pubblico” e si terrà il 22 novembre a Oleggio, gestito dal Comune e dalla rete di associazioni locali, e il 23 a Borgomanero. Sarà un flash mob in cui uomini indosseranno maglie con frasi stereotipate e violente – come “È tutta colpa tua” – che verranno cancellate e riscritte con messaggi di responsabilità, come “È responsabilità mia”. Un gesto semplice, ma simbolico, che racconta della responsabilità maschile nella violenza di genere e della possibilità di agire tutti nell’ottica del cambiamento anche a partire da noi stessi.




