È morto un ragazzo di diciotto anni travolto da un treno a Trecate. Un altro è vivo per miracolo: ferito, sotto shock, incapace di dire con chiarezza cosa sia successo. Probabilmente hanno attraversato i binari dietro a un convoglio, senza accorgersi che dall’altra parte ne stava arrivando un altro. È bastato un istante: di leggerezza, certamente, di distrazione, di incoscienza, chiamatelo come volete. Ma comunque un istante che ha spezzato una vita e segnato per sempre un’altra.
Eppure, nemmeno di fronte a una morte così anche sui social non riusciamo a tacere, a trattenere il dito dal commentare, a lasciare che il silenzio del dolore faccia il suo lavoro. No, la prima reazione è quella di scagliare parole come pietre: se l’è cercata, la colpa è sua, doveva usare il sottopasso. E subito dopo, per qualcuno, arriva anche la chiosa velenosa: state rendendo un inferno la vita a noi italiani.
Ci sono poi commenti ancora più fuori luogo perchè scritti da persone che ricoprono cariche pubbliche, che nei luoghi deputati al confronto, alle istituzioni o al dibattito civile non sono capaci di aprire bocca, ma che sui social si sentono liberi di scrivere parole inascoltabili, come se la tastiera potesse assolvere da ogni responsabilità.
Siamo diventati così: una nazione che non si commuove più, ma giudica. Che non distingue la responsabilità dall’empatia. Che non riesce più a dire “mi dispiace” senza dover aggiungere un “ma”. È come se la pandemia di cinque anni fa avesse lasciato in eredità un virus invisibile ma devastante: la disumanità. Una forma di anestesia morale che ci fa credere forti solo quando troviamo un colpevole da odiare.
Non importa se è un ragazzo distratto, un automobilista stanco, un migrante, una donna maltratta, un malato, chiunque. L’importante è avere qualcuno su cui puntare il dito. E così, anche la morte diventa un’occasione per dimostrare di avere ragione.
Come se la compassione fosse diventata una debolezza e il giudizio un dovere civico.
Certo, i binari non si attraversano perchè c’è un sottopasso. Ma nessuna imprudenza cancella il valore di una vita. Nessuna regola violata può giustificare l’odio che leggiamo sotto le notizie.
Quel ragazzo poteva essere nostro figlio, nostro nipote, nostro amico. Ma noi no, ci sentiamo diversi, immuni dagli errori, perfetti. E così finiamo per dimenticare la cosa più semplice e più vera: che se siamo fragili è perché siamo umani, e questo non è una colpa.