Novara Jazz 2025: il suono come rito, gioco e visione

Dal Broletto alle chiese, dalle corde del piano agli abissi del contrabbasso: la musica che attraversa i corpi e i luoghi. Stasera finnissage alla Sala dell'Accademia

Sostanzialmente nel jazz, ma anche nella musica cosiddetta “colta”, chi mette le mani nella “pancia” del pianoforte sembra voler dare allo strumento uno status, se non nuovo, perlomeno diverso o magari aggiungere allo strumento anche un altro suo modo di essere. Lo abbiamo sentito fare a molti compositori e, se si può dire una cosa azzardata, iniziando da John Cage, e via via tanti altri nella lunga storia della musica e anche nella storia (ormai abbastanza lunga) di Novara Jazz. Il caso di Tania Giannouli, compositrice ed interprete greca di grande talento, è come si dice, un caso a sé stante. Ascoltandola nell’incantevole concerto (per l’ inizio della parte del Festival “in città” di quest’anno), nel salone dell’Arengo del Broletto di Novara, non si poteva non percepire questa diversità rispetto a molti altri sperimentatori. Lei il piano lo interpreta, in fondo, in maniera tradizionale e gli interventi manuali e strumentali, i “disturbi”, introdotti dalla percussione delle corde con martelletti, morsetti, campanelli o tocchi tattili, sono tutti assolutamente organici alla composizione e fanno parte delle liriche-melodiche che lo strumento, sotto le sapienti mani di questa musicista, produce. Era difficile non restare estasiati da ciò che il pubblico ha avuto il privilegio di ascoltare. Una composizione lunga più di un’ora, di una poesia musicale difficilmente eguagliabile, snocciolata con una varietà timbrica strabiliante, di atmosfere variabili, un flusso continuo di melodie, ritmi, soavi dissonanze, cambiamenti repentini di tono, accordi seriali ripetuti, improvvise planate, picchi cristallini e grevi abissi. Tutto questo utilizzando la tastiera e le corde, come fossero (ma in fondo lo sono) un tutt’uno.

Tania Giannouli ha una formazione classica di base e l’attrazione per la musica di ricerca e il jazz è piuttosto recente, ma se questi sono i risultati, la strada (o le strade) non può essere che quella giusta. Il secondo weekend di Nj promette bene con due concerti venerdì a cominciare da “Gogoducks” nel chiostro della Canonica del Duomo, mentre sul “main stage” del Festival, quello dell’Arengo del Broletto, si esibisce invece una bomba energetica come la “Gard Nilssen’s Supersonic Orchestra” che già dal nome non nasconde le proprie ambizioni. Infatti vedere sul palco tre batterie, tre contrabbassi, ed un numero imprecisato di sax e come si dice “quant’altro”, non è poi così comune. Un’orchestra imponente ed esplosiva che sa coniugare i più arditi azzardi sonori ad una certa vena groove, ma anche a sonorità più intime, il tutto caratterizzato da ritmi progressivi ed incalzanti che nascono tiepidi e apparentemente fragili e, nel loro andamento carsico, sfociano in corposi, possenti sonorità d’insieme dove continuano ad insinuarsi i virtuosissimi dei singoli. Una orchestra con ritmica sfrenata, fiati possenti, ensemble “caliente” alla faccia di tutti i pregiudizi e dei più triti luoghi comuni che vorrebbero i musicisti nordici freddi e misurati. Forse però, come mi diceva Marcello Lorrai alla fine del concerto, mancava solo un po’ di “anima”, qualcosa che potesse distinguere questi suoni ben amalgamati da quelli prodotti da una potenziale intelligenza artificiale abilmente istruita. Non sono molto d’accordo con lui, ma mi piace sentire altri pareri, soprattutto così illustri.

Sabato Simona Severini, dopo un paio di canzoni proprie dal testo piuttosto originale, passa al “Lamento della Ninfa” da Claudio Monteverdi piuttosto suggestivo nella trasposizione per chitarra elettrica. Nel suo concerto, presso il piccolo cortile dello storico biscottificio Camporelli di Novara, c’è posto anche per Joni Mitchell, ma anche e soprattutto per gli originali testi di Simona Severini: chitarra elettrica sofisticata e poco invadente, piacevole atmosfera.

Ci sono poi momenti nei festival, in cui tutto quello che si è ascoltato prima non sembra certo inutile, ma in un certo modo sembra appartenere all’ovvio. Persino quel che si ascolterà dopo, pur appartenendo ancora all’ignoto o al non detto, smette di incuriosirci, almeno per un attimo. Si è come sospesi nel tempo e ascoltando musicisti d’eccezione come i vecchi (perché “vecchio” è una bellissima parola), Aki Takase e Alexander Schlippenbach e il loro pianoforte, ci si vede seduti al teatro della storia della musica, partecipi da poveri mortali alla messa in scena di questa storia. Tu sei lì, ascolti, ma non sai nemmeno più cosa scrivere, perché in questi casi aveva ragione Frank Zappa quando diceva che “scrivere di musica è come ballare di architettura”. Bisognava ascoltare per comprendere ciò e mi dispiace molto per chi non era a Palazzo Bellini, perché il termine “imperdibile”, in questo caso non è usato a sproposito.

Nel tardo pomeriggio di sabato ci si trova alle Mura romane, con i “Lord Kevin” formazione spin-off della sontuosa Gard Nilssen’s Supersonic Orchestra, ossia un bel trio di batteria, sassofono e trombone con un jazz molto libero che spazia da melodie vagamente rock ad un free jazz un po’ in sordina e introduce la serata sul palco principale del “Collettivo immaginario”, ovvero Tommaso Cappellato alla batteria e leader del gruppo, Nicolò Masetto al basso e Alberto Lincetto al Rhodes e synt, che con un avvolgente jazz-funk coinvolge il folto pubblico presente nel Cortile del Broletto. La lunga giornata si conclude poi, ancora qui, con un progetto molto originale ovvero “Post atomic Zep” portato avanti da Francesco Bearzatti e dal suo potentissimo sax con Danilo Gallo al basso e Stefano Tamborrino alla batteria e voce. Si tratta della rilettura jazz dei più bei pezzi del Led Zeppelin: potenza dirompente accolta col favore del pubblico meno giovane.

La domenica finale, come da tradizione, incomincia in chiesa e per la precisione con Ståle Storløkken. Come si possa essere un tastierista jazz e contemporaneamente un grande specialista dell’organo liturgico è cosa che a noi italiani può apparire strana poiché siamo abituati a relegare la musica in ambiti e compartimenti stagni. È anche vero che ormai da anni la musica si è ibridata, ma il nostro abito mentale resta sempre piuttosto formale. Il concerto del festival 2025 presenta alla tastiera (e alla pedaliera) dell’organo, nella Chiesa di San Giovanni Decollato ad Fontes, Ståle Storløkken, norvegese e come detto musicista poliforme. Esplorare le infinite possibilità di un organo è impresa ciclopica e lo sa bene chi è abituato ad ascoltare musica sacra (ricordiamo che a Novara si tiene anche un festival di musica sacra d’organo), ed è proprio questa la strada intrapresa da questo sperimentatore-autore. Si incomincia dai toni diafani dell’organo, di cui siamo abituati a sentire la possenza, mentre invece può essere uno strumento delicatissimo quasi impalpabile: così come Ståle Storløkken sembra volerci mostrare l’incredibile capacità di un organo di produrre note che sono quasi rumore di disturbo. Il “noise” insomma lo si sarebbe potuto fare anche nel XVII secolo, volendo. Naturalmente nel lungo brano che Ståle Storløkken esegue c’è anche molto altro: composizione dalla struttura complessa, viaggio vero dentro una spiritualità dialettica e non omologata della musica che ha una sua sacralità (anche al di fuori di una chiesa) e questo concerto lo dimostra.

Ed eccoci al secondo concerto della domenica. Silvia Bolognesi fa parte della storica formazione dell’Art Ensemble of Chicago, una delle formazioni che ha raccolto, come poche altre e non solo nell’ambito del jazz, la collaborazione di un numero imprecisato di musicisti e compositori. Tocca a lei quest’anno esibirsi al contrabbasso solo, dinnanzi al quadro divisionista di “Sinfonia del mare” di Filiberto Minozzi esposto nella Pinacoteca della galleria Giannoni, come da tradizione del Festival novarese. In questa sala, ispirandosi al suggestivo dipinto, si sono esibiti molti artisti compreso il compianto Barre Phillips, recentemente scomparso. Silvia Bolognesi presenta un programma variegato, con qualche accenno a componimenti poetici e piccoli blues, e la maestria di questa granda contrabbassista, che sa far suonare anche le corde invisibili dello strumento, è palpabile persino nei vuoti e nei silenzi, nei suoni grevi e torturati che nelle sonorità più limpide e minute e la pece cosparsa, per far vibrare meglio le corde, diventa un gesto magico e rituale. Silvia Bolognesi è il musicista numero quattromila che si esibisce a Novara Jazz, circostanza salutata con una targa ad hoc, consegnata da Corrado Beldì alla musicista senese.

C’è musica e musica e altrettanto, naturalmente, c’è modo e modo di suonare il sax. Quello di Kjetil Møster, ascoltato successivamente domenica pomeriggio, nella Chiesa del Carmine di Novara, è il più vicino alla considerazione dello strumento come essere vivente. Kjetil, immobile e concentratissimo dinnanzi all’altare della chiesa (dedicata al culto cristiano-bizantino), tiene tra le mani un qualcosa di paragonabile a un collo di un cigno o un’araba fenice o un ibis?… Ognuno può appaiare lo strumento al mito o alla credenza che preferisce, ma è certo che non si tratti di un oggetto di ottone, ma si tratti di materia viva e lo è vieppiù quando Kyetil toglie l’imboccatura per produrre suoni molto simili a cinguettii e poi suona addirittura lo strumento senza imboccatura con la stessa elegante naturalezza e con un risultato oltremodo suggestivo. Il suo è un sound decisamente nordico e naturalmente in sintonia con i suoni naturali. Non so se questo sia stato il suo intento, ma la musica,si sa, la fa il compositore mentre l’esecutore è lo strumento, coinvolgendo sempre anche la libera interpretazione di chi ascolta. Gran bel solo questo della Chiesa del Carmine!

Al tramonto ecco il progetto dei TSCP (Too Seriously Committed People) un’altra produzione targata We Start. Dice in apertura di concerto Stefano Grasso: “Per noi l’improvvisazione è una devozione, crediamo nell’improvvisazione come scelta politica, ove per politica s’intenda la ricerca delle relazioni tra gli esseri umani e le dinamiche che li regolano”: sono parole che fanno bene alla musica perché troppo spesso si sono dimenticate. La sperimentazione come “metodo” nella musica, come nelle relazioni umane, permette di non enunciare verità precostituite, ma di ricercarle insieme. Nello specifico il sax di Alessio Dal Checco e la batteria e l’oggettistica di Stefano Grasso sembrano essere davvero due fucine di Vulcano. Il Progetto, presentato a Novara jazz da Enrico Bettinello, sostenuto da We Start Centro Produzione Musica, si mostra subito come molto interessante per i due giovani interpreti del jazz contemporaneo italiano. Il modello di dinosauro, sito alle spalle dei due musicisti nel giardino del Museo Etnografico Faraggiana-Ferrando, sembra messo lì a bella posta: dal caos nasce un ordine che un altro caos distrugge per formare un nuovo ordine in una dialettica continua di ricerca; è proprio quello che in fondo diceva in apertura Stefano Grasso. Non può passare sotto silenzio nemmeno l’esibizione della Dedalo Big Band-Wally Allifranchini, bella band nata all’interno della scuola di musica Dedalo di Novara che ha dato spazio a tanti giovani musicisti, così come le tante iniziative collaterali al Festival come lo Street Jazz degli allievi di molti conservatori italiani o le Vetrine in jazz o i laboratori di Novara Jazz Kids. La XXII edizione del Festival si chiude nel Cortile del Broletto con Davide Shorty e la sua Nuova Forma Army, voce soul con tanto rap (e forse un po’ meno jazz), ma si sa alla fine la festa è un po’ per tutti. Un ultima annotazione, fino a venerdì 13 è visitabile presso la Sala dell’Accademia della Galleria Giannoni la mostra fotografica di Luigi Zanon “On the Road”. Meglio di così non si poteva finire.

Novarajazz conclude con un extra appuntamento questa sera, 13 giugno, alle 18.30 nella Sala dell’Accademia del Broletto con il finissage della mostra fotografica On the Road di Luigi Zanon e a cura di Luciano Rossetti. La mostra è un viaggio visivo nel mondo del jazz, tra volti, strumenti, gesti e atmosfere che raccontano l’essenza profonda di questa musica. Un lavoro d’autore che cattura l’umanità e l’intensità della scena jazzistica italiana e internazionale, recentemente recuperato grazie a un lavoro di acquisizione e valorizzazione da parte di Rest-Art.

A seguire, la serata sarà arricchita dal live elettroacustico di Roberto Maria Zorzi, chitarrista e compositore che si muove con originalità tra nujazz, rock e improvvisazione, dando vita a un paesaggio sonoro sempre cangiante.

Condividi:

Facebook
WhatsApp
Telegram
Email
Twitter

© 2025 La Voce di Novara - Riproduzione Riservata
Iscrizione al registro della stampa presso il Tribunale di Novara

Picture of Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

Condividi l'articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

SEGUICI SUI SOCIAL

Sezioni

Novara Jazz 2025: il suono come rito, gioco e visione

Dal Broletto alle chiese, dalle corde del piano agli abissi del contrabbasso: la musica che attraversa i corpi e i luoghi. Stasera finnissage alla Sala dell’Accademia

Sostanzialmente nel jazz, ma anche nella musica cosiddetta “colta”, chi mette le mani nella “pancia” del pianoforte sembra voler dare allo strumento uno status, se non nuovo, perlomeno diverso o magari aggiungere allo strumento anche un altro suo modo di essere. Lo abbiamo sentito fare a molti compositori e, se si può dire una cosa azzardata, iniziando da John Cage, e via via tanti altri nella lunga storia della musica e anche nella storia (ormai abbastanza lunga) di Novara Jazz. Il caso di Tania Giannouli, compositrice ed interprete greca di grande talento, è come si dice, un caso a sé stante. Ascoltandola nell’incantevole concerto (per l’ inizio della parte del Festival “in città” di quest’anno), nel salone dell’Arengo del Broletto di Novara, non si poteva non percepire questa diversità rispetto a molti altri sperimentatori. Lei il piano lo interpreta, in fondo, in maniera tradizionale e gli interventi manuali e strumentali, i “disturbi”, introdotti dalla percussione delle corde con martelletti, morsetti, campanelli o tocchi tattili, sono tutti assolutamente organici alla composizione e fanno parte delle liriche-melodiche che lo strumento, sotto le sapienti mani di questa musicista, produce. Era difficile non restare estasiati da ciò che il pubblico ha avuto il privilegio di ascoltare. Una composizione lunga più di un’ora, di una poesia musicale difficilmente eguagliabile, snocciolata con una varietà timbrica strabiliante, di atmosfere variabili, un flusso continuo di melodie, ritmi, soavi dissonanze, cambiamenti repentini di tono, accordi seriali ripetuti, improvvise planate, picchi cristallini e grevi abissi. Tutto questo utilizzando la tastiera e le corde, come fossero (ma in fondo lo sono) un tutt’uno.

Tania Giannouli ha una formazione classica di base e l’attrazione per la musica di ricerca e il jazz è piuttosto recente, ma se questi sono i risultati, la strada (o le strade) non può essere che quella giusta. Il secondo weekend di Nj promette bene con due concerti venerdì a cominciare da “Gogoducks” nel chiostro della Canonica del Duomo, mentre sul “main stage” del Festival, quello dell’Arengo del Broletto, si esibisce invece una bomba energetica come la “Gard Nilssen’s Supersonic Orchestra” che già dal nome non nasconde le proprie ambizioni. Infatti vedere sul palco tre batterie, tre contrabbassi, ed un numero imprecisato di sax e come si dice “quant’altro”, non è poi così comune. Un’orchestra imponente ed esplosiva che sa coniugare i più arditi azzardi sonori ad una certa vena groove, ma anche a sonorità più intime, il tutto caratterizzato da ritmi progressivi ed incalzanti che nascono tiepidi e apparentemente fragili e, nel loro andamento carsico, sfociano in corposi, possenti sonorità d’insieme dove continuano ad insinuarsi i virtuosissimi dei singoli. Una orchestra con ritmica sfrenata, fiati possenti, ensemble “caliente” alla faccia di tutti i pregiudizi e dei più triti luoghi comuni che vorrebbero i musicisti nordici freddi e misurati. Forse però, come mi diceva Marcello Lorrai alla fine del concerto, mancava solo un po’ di “anima”, qualcosa che potesse distinguere questi suoni ben amalgamati da quelli prodotti da una potenziale intelligenza artificiale abilmente istruita. Non sono molto d’accordo con lui, ma mi piace sentire altri pareri, soprattutto così illustri.

Sabato Simona Severini, dopo un paio di canzoni proprie dal testo piuttosto originale, passa al “Lamento della Ninfa” da Claudio Monteverdi piuttosto suggestivo nella trasposizione per chitarra elettrica. Nel suo concerto, presso il piccolo cortile dello storico biscottificio Camporelli di Novara, c’è posto anche per Joni Mitchell, ma anche e soprattutto per gli originali testi di Simona Severini: chitarra elettrica sofisticata e poco invadente, piacevole atmosfera.

Ci sono poi momenti nei festival, in cui tutto quello che si è ascoltato prima non sembra certo inutile, ma in un certo modo sembra appartenere all’ovvio. Persino quel che si ascolterà dopo, pur appartenendo ancora all’ignoto o al non detto, smette di incuriosirci, almeno per un attimo. Si è come sospesi nel tempo e ascoltando musicisti d’eccezione come i vecchi (perché “vecchio” è una bellissima parola), Aki Takase e Alexander Schlippenbach e il loro pianoforte, ci si vede seduti al teatro della storia della musica, partecipi da poveri mortali alla messa in scena di questa storia. Tu sei lì, ascolti, ma non sai nemmeno più cosa scrivere, perché in questi casi aveva ragione Frank Zappa quando diceva che “scrivere di musica è come ballare di architettura”. Bisognava ascoltare per comprendere ciò e mi dispiace molto per chi non era a Palazzo Bellini, perché il termine “imperdibile”, in questo caso non è usato a sproposito.

Nel tardo pomeriggio di sabato ci si trova alle Mura romane, con i “Lord Kevin” formazione spin-off della sontuosa Gard Nilssen’s Supersonic Orchestra, ossia un bel trio di batteria, sassofono e trombone con un jazz molto libero che spazia da melodie vagamente rock ad un free jazz un po’ in sordina e introduce la serata sul palco principale del “Collettivo immaginario”, ovvero Tommaso Cappellato alla batteria e leader del gruppo, Nicolò Masetto al basso e Alberto Lincetto al Rhodes e synt, che con un avvolgente jazz-funk coinvolge il folto pubblico presente nel Cortile del Broletto. La lunga giornata si conclude poi, ancora qui, con un progetto molto originale ovvero “Post atomic Zep” portato avanti da Francesco Bearzatti e dal suo potentissimo sax con Danilo Gallo al basso e Stefano Tamborrino alla batteria e voce. Si tratta della rilettura jazz dei più bei pezzi del Led Zeppelin: potenza dirompente accolta col favore del pubblico meno giovane.

La domenica finale, come da tradizione, incomincia in chiesa e per la precisione con Ståle Storløkken. Come si possa essere un tastierista jazz e contemporaneamente un grande specialista dell’organo liturgico è cosa che a noi italiani può apparire strana poiché siamo abituati a relegare la musica in ambiti e compartimenti stagni. È anche vero che ormai da anni la musica si è ibridata, ma il nostro abito mentale resta sempre piuttosto formale. Il concerto del festival 2025 presenta alla tastiera (e alla pedaliera) dell’organo, nella Chiesa di San Giovanni Decollato ad Fontes, Ståle Storløkken, norvegese e come detto musicista poliforme. Esplorare le infinite possibilità di un organo è impresa ciclopica e lo sa bene chi è abituato ad ascoltare musica sacra (ricordiamo che a Novara si tiene anche un festival di musica sacra d’organo), ed è proprio questa la strada intrapresa da questo sperimentatore-autore. Si incomincia dai toni diafani dell’organo, di cui siamo abituati a sentire la possenza, mentre invece può essere uno strumento delicatissimo quasi impalpabile: così come Ståle Storløkken sembra volerci mostrare l’incredibile capacità di un organo di produrre note che sono quasi rumore di disturbo. Il “noise” insomma lo si sarebbe potuto fare anche nel XVII secolo, volendo. Naturalmente nel lungo brano che Ståle Storløkken esegue c’è anche molto altro: composizione dalla struttura complessa, viaggio vero dentro una spiritualità dialettica e non omologata della musica che ha una sua sacralità (anche al di fuori di una chiesa) e questo concerto lo dimostra.

Ed eccoci al secondo concerto della domenica. Silvia Bolognesi fa parte della storica formazione dell’Art Ensemble of Chicago, una delle formazioni che ha raccolto, come poche altre e non solo nell’ambito del jazz, la collaborazione di un numero imprecisato di musicisti e compositori. Tocca a lei quest’anno esibirsi al contrabbasso solo, dinnanzi al quadro divisionista di “Sinfonia del mare” di Filiberto Minozzi esposto nella Pinacoteca della galleria Giannoni, come da tradizione del Festival novarese. In questa sala, ispirandosi al suggestivo dipinto, si sono esibiti molti artisti compreso il compianto Barre Phillips, recentemente scomparso. Silvia Bolognesi presenta un programma variegato, con qualche accenno a componimenti poetici e piccoli blues, e la maestria di questa granda contrabbassista, che sa far suonare anche le corde invisibili dello strumento, è palpabile persino nei vuoti e nei silenzi, nei suoni grevi e torturati che nelle sonorità più limpide e minute e la pece cosparsa, per far vibrare meglio le corde, diventa un gesto magico e rituale. Silvia Bolognesi è il musicista numero quattromila che si esibisce a Novara Jazz, circostanza salutata con una targa ad hoc, consegnata da Corrado Beldì alla musicista senese.

C’è musica e musica e altrettanto, naturalmente, c’è modo e modo di suonare il sax. Quello di Kjetil Møster, ascoltato successivamente domenica pomeriggio, nella Chiesa del Carmine di Novara, è il più vicino alla considerazione dello strumento come essere vivente. Kjetil, immobile e concentratissimo dinnanzi all’altare della chiesa (dedicata al culto cristiano-bizantino), tiene tra le mani un qualcosa di paragonabile a un collo di un cigno o un’araba fenice o un ibis?… Ognuno può appaiare lo strumento al mito o alla credenza che preferisce, ma è certo che non si tratti di un oggetto di ottone, ma si tratti di materia viva e lo è vieppiù quando Kyetil toglie l’imboccatura per produrre suoni molto simili a cinguettii e poi suona addirittura lo strumento senza imboccatura con la stessa elegante naturalezza e con un risultato oltremodo suggestivo. Il suo è un sound decisamente nordico e naturalmente in sintonia con i suoni naturali. Non so se questo sia stato il suo intento, ma la musica,si sa, la fa il compositore mentre l’esecutore è lo strumento, coinvolgendo sempre anche la libera interpretazione di chi ascolta. Gran bel solo questo della Chiesa del Carmine!

Al tramonto ecco il progetto dei TSCP (Too Seriously Committed People) un’altra produzione targata We Start. Dice in apertura di concerto Stefano Grasso: “Per noi l’improvvisazione è una devozione, crediamo nell’improvvisazione come scelta politica, ove per politica s’intenda la ricerca delle relazioni tra gli esseri umani e le dinamiche che li regolano”: sono parole che fanno bene alla musica perché troppo spesso si sono dimenticate. La sperimentazione come “metodo” nella musica, come nelle relazioni umane, permette di non enunciare verità precostituite, ma di ricercarle insieme. Nello specifico il sax di Alessio Dal Checco e la batteria e l’oggettistica di Stefano Grasso sembrano essere davvero due fucine di Vulcano. Il Progetto, presentato a Novara jazz da Enrico Bettinello, sostenuto da We Start Centro Produzione Musica, si mostra subito come molto interessante per i due giovani interpreti del jazz contemporaneo italiano. Il modello di dinosauro, sito alle spalle dei due musicisti nel giardino del Museo Etnografico Faraggiana-Ferrando, sembra messo lì a bella posta: dal caos nasce un ordine che un altro caos distrugge per formare un nuovo ordine in una dialettica continua di ricerca; è proprio quello che in fondo diceva in apertura Stefano Grasso. Non può passare sotto silenzio nemmeno l’esibizione della Dedalo Big Band-Wally Allifranchini, bella band nata all’interno della scuola di musica Dedalo di Novara che ha dato spazio a tanti giovani musicisti, così come le tante iniziative collaterali al Festival come lo Street Jazz degli allievi di molti conservatori italiani o le Vetrine in jazz o i laboratori di Novara Jazz Kids. La XXII edizione del Festival si chiude nel Cortile del Broletto con Davide Shorty e la sua Nuova Forma Army, voce soul con tanto rap (e forse un po’ meno jazz), ma si sa alla fine la festa è un po’ per tutti. Un ultima annotazione, fino a venerdì 13 è visitabile presso la Sala dell’Accademia della Galleria Giannoni la mostra fotografica di Luigi Zanon “On the Road”. Meglio di così non si poteva finire.

Novarajazz conclude con un extra appuntamento questa sera, 13 giugno, alle 18.30 nella Sala dell’Accademia del Broletto con il finissage della mostra fotografica On the Road di Luigi Zanon e a cura di Luciano Rossetti. La mostra è un viaggio visivo nel mondo del jazz, tra volti, strumenti, gesti e atmosfere che raccontano l’essenza profonda di questa musica. Un lavoro d’autore che cattura l’umanità e l’intensità della scena jazzistica italiana e internazionale, recentemente recuperato grazie a un lavoro di acquisizione e valorizzazione da parte di Rest-Art.

A seguire, la serata sarà arricchita dal live elettroacustico di Roberto Maria Zorzi, chitarrista e compositore che si muove con originalità tra nujazz, rock e improvvisazione, dando vita a un paesaggio sonoro sempre cangiante.

© 2025 La Voce di Novara
Riproduzione Riservata

Picture of Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.