Flop “modello Piemonte”: polverizzati in due mesi i soldi per fronteggiare le liste d’attesa

Venti milioni esauriti per gli straordinari del personale sanitario. La denuncia del consigliere regionale Domenico Rossi

Altro che virtuosismo: il cosiddetto “modello Piemonte“, sbandierato come esempio di efficienza dal presidente della Regione Alberto Cirio e dall’assessore alla Sanità Federico Riboldi, si è dissolto in poco più di due mesi. Venti milioni di euro destinati a combattere le liste d’attesa con straordinari retribuiti al personale sanitario sono già finiti. Ma i tempi per esami e visite restano biblici.

Approvata con una delibera della giunta regionale il 10 marzo scorso, la misura doveva finanziare per sei mesi il pagamento straordinario di 60 euro l’ora medici e infermieri disposti a lavorare oltre il proprio orario. Un provvedimento accolto con favore, anche grazie all’intesa con i sindacati, e avviato nelle aziende sanitarie e negli ospedali piemontesi. Ma l’entusiasmo è durato poco.

Il flop del provvedimento è emerso chiaramente in una comunicazione inviata il 12 maggio dalla direzione ai dipendenti dell’ospedale Maggiore di Novara. Nella lettera – per di più retroattiva – si legge che «la somma stanziata dalla Regione il 10 marzo, destinata a finanziare la tariffa oraria per le prestazioni aggiuntive volte a sopperire alla carenza di personale e ridurre le liste d’attesa, risulta attualmente esaurita. Pertanto, eventuali prestazioni erogate a partire dal 1° maggio saranno retribuite secondo le tariffe aziendali». Tradotto: non più 60 euro l’ora, ma 35 per il turno diurno, 40 per quello notturno o festivo, e 45 per il notturno festivo.

A chiedere conto del fallimento è stato il consigliere regionale Domenico Rossi che ha presentato un’interrogazione all’assessore Riboldi. «Il portafoglio è vuoto mentre i tempi per un esame o una prestazione sono ancora lunghi, anzi lunghissimi» ha denunciato. E i numeri parlano chiaro: a Novara 470 giorni per una colonscopia, 312 per una mammografia, 190 per una visita cardiologica. «Nel mezzo gli altri ospedali, ambulatori e presidi tutti in sofferenza e dove impressiona la lista di prestazioni nemmeno disponibili».

Secondo Rossi, si tratta dell’ennesimo «provvedimento spot, buono per la propaganda ma inefficace nella realtà. Un tentativo naufragato in meno di due mesi mentre Cirio e Riboldi continuano a raccontarci di visite serali e nei weekend come se bastassero a rianimare un sistema sottofinanziato». Il consigliere punta il dito contro l’assenza di una visione strutturale e denuncia il continuo ricorso a gettonisti pagati con cifre esorbitanti, a fronte di personale stabile sempre più sottopagato e sotto pressione.

L’iniziativa era stata presentata come una svolta che invece si è rivelata un cerotto staccatosi troppo in fretta. Il fallimento di questa misura straordinaria dimostra che la sanità pubblica piemontese non ha bisogno di fuochi d’artificio, ma di investimenti costanti, assunzioni programmate, incentivi stabili e una strategia di sistema. Intanto, chi resta a farne le spese sono i cittadini, costretti ad attendere mesi – talvolta anni – per una visita salvavita, ormai sempre più difficili da prenotare anche nel privato. Mentre il pubblico sfuma fondi senza costruire nulla di duraturo.

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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Flop “modello Piemonte”: polverizzati in due mesi i soldi per fronteggiare le liste d’attesa

Venti milioni esauriti per gli straordinari del personale sanitario. La denuncia del consigliere regionale Domenico Rossi

Altro che virtuosismo: il cosiddetto “modello Piemonte“, sbandierato come esempio di efficienza dal presidente della Regione Alberto Cirio e dall’assessore alla Sanità Federico Riboldi, si è dissolto in poco più di due mesi. Venti milioni di euro destinati a combattere le liste d’attesa con straordinari retribuiti al personale sanitario sono già finiti. Ma i tempi per esami e visite restano biblici.

Approvata con una delibera della giunta regionale il 10 marzo scorso, la misura doveva finanziare per sei mesi il pagamento straordinario di 60 euro l’ora medici e infermieri disposti a lavorare oltre il proprio orario. Un provvedimento accolto con favore, anche grazie all’intesa con i sindacati, e avviato nelle aziende sanitarie e negli ospedali piemontesi. Ma l’entusiasmo è durato poco.

Il flop del provvedimento è emerso chiaramente in una comunicazione inviata il 12 maggio dalla direzione ai dipendenti dell’ospedale Maggiore di Novara. Nella lettera – per di più retroattiva – si legge che «la somma stanziata dalla Regione il 10 marzo, destinata a finanziare la tariffa oraria per le prestazioni aggiuntive volte a sopperire alla carenza di personale e ridurre le liste d’attesa, risulta attualmente esaurita. Pertanto, eventuali prestazioni erogate a partire dal 1° maggio saranno retribuite secondo le tariffe aziendali». Tradotto: non più 60 euro l’ora, ma 35 per il turno diurno, 40 per quello notturno o festivo, e 45 per il notturno festivo.

A chiedere conto del fallimento è stato il consigliere regionale Domenico Rossi che ha presentato un’interrogazione all’assessore Riboldi. «Il portafoglio è vuoto mentre i tempi per un esame o una prestazione sono ancora lunghi, anzi lunghissimi» ha denunciato. E i numeri parlano chiaro: a Novara 470 giorni per una colonscopia, 312 per una mammografia, 190 per una visita cardiologica. «Nel mezzo gli altri ospedali, ambulatori e presidi tutti in sofferenza e dove impressiona la lista di prestazioni nemmeno disponibili».

Secondo Rossi, si tratta dell’ennesimo «provvedimento spot, buono per la propaganda ma inefficace nella realtà. Un tentativo naufragato in meno di due mesi mentre Cirio e Riboldi continuano a raccontarci di visite serali e nei weekend come se bastassero a rianimare un sistema sottofinanziato». Il consigliere punta il dito contro l’assenza di una visione strutturale e denuncia il continuo ricorso a gettonisti pagati con cifre esorbitanti, a fronte di personale stabile sempre più sottopagato e sotto pressione.

L’iniziativa era stata presentata come una svolta che invece si è rivelata un cerotto staccatosi troppo in fretta. Il fallimento di questa misura straordinaria dimostra che la sanità pubblica piemontese non ha bisogno di fuochi d’artificio, ma di investimenti costanti, assunzioni programmate, incentivi stabili e una strategia di sistema. Intanto, chi resta a farne le spese sono i cittadini, costretti ad attendere mesi – talvolta anni – per una visita salvavita, ormai sempre più difficili da prenotare anche nel privato. Mentre il pubblico sfuma fondi senza costruire nulla di duraturo.

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Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore