«Chi ce lo fa fare?»: infermieri sotto pressione al Maggiore dopo il taglio agli straordinari. E scoppia la polemica tra sindacati e direzione

Dopo la comunicazione del 20 maggio che annunciava la riduzione delle tariffe per le prestazioni aggiuntive, il personale infermieristico dell’ospedale Maggiore denuncia un clima lavorativo insostenibile. La direzione replica, ma la Cgil accusa l’azienda di scarsa trasparenza nella gestione delle risorse

Stanchi, frustrati e invisibili. Così si sentono molti degli infermieri del Maggiore dopo il taglio alle tariffe per gli straordinari. Una decisione arrivata con una comunicazione interna inviata il 20 maggio – ma datata 12 – che informava dell’esaurimento dei fondi disponibili: dal primo giorno dello stesso mese le prestazioni aggiuntive non sarebbero più state pagate 60 euro lordi l’ora, ma tra i 35 e i 45 euro, a seconda della fascia oraria.

«Se avessi fatto un turno aggiuntivo di sette ore questo mese, avrei perso quasi la metà del compenso previsto – racconta un infermiere in servizio -. I turni per recuperare le liste d’attesa si organizzano con un mese d’anticipo, ma le assenze improvvise – malattie, congedi, maternità – non si possono programmare. E vanno comunque coperte. Noi abbiamo turni da 8 ore e possiamo arrivare fino a 12. In alcuni reparti si fanno anche oltre 10 turni in più al mese».

Il risultato è un clima esasperato e competitivo. «Non si capisce perché i fondi per i medici si trovano sempre e per gli infermieri no. Negli ambulatori, dove non servono competenze specifiche, si inizia a sostituire gli infermieri con gli OSS in turno. Non è irregolare, ma è il segno che i fondi non ci sono più. Quelle ore aggiuntive erano un modo per integrare uno stipendio già basso. Noi non possiamo fare libera professione. Molti fanno i concorsi per passare in Asl per avere un orario fisso. Qualcuno va all’estero. E ora, con questi tagli, gli straordinari non si faranno più. Si perderà un modo dignitoso di riconoscere il nostro lavoro e potrebbero presentarsi ordini di servizio obbligatori. Ci sentiamo presi in giro. E chi ci lavora dentro, lo sa: non è una buona pubblicità per l’ospedale. Chi ce lo fa fare?».

Nonostante tutto, c’è chi continua a credere nella sanità pubblica, ma con fatica. Lo conferma la testimonianza di una seconda infermiera, in servizio in un altro reparto: «Siamo rimaste la metà rispetto a qualche anno fa. È una coperta sempre più corta. La settimana scorsa mi hanno chiesto di rientrare, ma ho detto di no. Gli straordinari non sono più sostenibili. A livello di tutele, ci sentiamo ancora protetti rispetto ad altre realtà, ma si lavora male. Non ho mai pensato di andare nel privato: credo ancora nella sanità pubblica. Ma ho pensato di cambiare completamente lavoro, sì. Solo il senso di responsabilità verso la mia famiglia mi trattiene».

La direzione dell’ospedale risponde con una nota in cui spiega che «l’azienda ospedaliera ha formalmente comunicato, tramite mail inviata a tutti i dipendenti, quanto già riferito in totale trasparenza nell’incontro sindacale del 28 aprile». In quell’occasione, si era chiarito che la tariffa a 60 euro l’ora sarebbe stata mantenuta «fino a esaurimento dei fondi previsti dalla legge di bilancio nazionale». Una nuova tranche di finanziamenti, spiegano dall’Azienda, è prevista per metà giugno grazie all’incremento previsto dal decreto Milleproroghe. Questo permetterà, con il pagamento di luglio, di integrare retroattivamente le prestazioni effettuate nei primi giorni di maggio, «senza penalizzare alcun professionista». La direzione conferma infine la «consueta volontà di confronto con le organizzazioni sindacali per individuare, all’interno del quadro normativo, le possibili soluzioni migliorative a favore dei lavoratori».

Ma la Cgil non ci sta. In una lettera inviata alla direzione, il sindacato ricorda che l’accordo regionale sulle prestazioni aggiuntive prevede un monitoraggio costante della spesa, proprio per evitare cambi repentini come quello avvenuto.

«Nel confronto del 28 aprile – si legge nella missiva – era stato comunicato che il valore di 60 euro sarebbe stato mantenuto fino ad esaurimento risorse, ma l’azienda non ha fornito dati aggiornati sulla spesa già effettuata, nonostante le nostre richieste. Questo ha impedito di avere consapevolezza della situazione in tempo utile». La comunicazione di “aggiustamento” successiva «non cancella la gravità di come è stata non gestita la situazione».

Il sindacato chiede infine «lo stanziamento stabile delle risorse dedicate» e avverte: «Se i soldi non ce li dovesse mettere la Regione, che li metta di tasca propria l’azienda. Non può semplicemente prendere atto dei fondi ricevuti, deve attivarsi per richiedere le risorse necessarie».

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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«Chi ce lo fa fare?»: infermieri sotto pressione al Maggiore dopo il taglio agli straordinari. E scoppia la polemica tra sindacati e direzione

Dopo la comunicazione del 20 maggio che annunciava la riduzione delle tariffe per le prestazioni aggiuntive, il personale infermieristico dell’ospedale Maggiore denuncia un clima lavorativo insostenibile. La direzione replica, ma la Cgil accusa l’azienda di scarsa trasparenza nella gestione delle risorse

Stanchi, frustrati e invisibili. Così si sentono molti degli infermieri del Maggiore dopo il taglio alle tariffe per gli straordinari. Una decisione arrivata con una comunicazione interna inviata il 20 maggio – ma datata 12 – che informava dell’esaurimento dei fondi disponibili: dal primo giorno dello stesso mese le prestazioni aggiuntive non sarebbero più state pagate 60 euro lordi l’ora, ma tra i 35 e i 45 euro, a seconda della fascia oraria.

«Se avessi fatto un turno aggiuntivo di sette ore questo mese, avrei perso quasi la metà del compenso previsto – racconta un infermiere in servizio -. I turni per recuperare le liste d’attesa si organizzano con un mese d’anticipo, ma le assenze improvvise – malattie, congedi, maternità – non si possono programmare. E vanno comunque coperte. Noi abbiamo turni da 8 ore e possiamo arrivare fino a 12. In alcuni reparti si fanno anche oltre 10 turni in più al mese».

Il risultato è un clima esasperato e competitivo. «Non si capisce perché i fondi per i medici si trovano sempre e per gli infermieri no. Negli ambulatori, dove non servono competenze specifiche, si inizia a sostituire gli infermieri con gli OSS in turno. Non è irregolare, ma è il segno che i fondi non ci sono più. Quelle ore aggiuntive erano un modo per integrare uno stipendio già basso. Noi non possiamo fare libera professione. Molti fanno i concorsi per passare in Asl per avere un orario fisso. Qualcuno va all’estero. E ora, con questi tagli, gli straordinari non si faranno più. Si perderà un modo dignitoso di riconoscere il nostro lavoro e potrebbero presentarsi ordini di servizio obbligatori. Ci sentiamo presi in giro. E chi ci lavora dentro, lo sa: non è una buona pubblicità per l’ospedale. Chi ce lo fa fare?».

Nonostante tutto, c’è chi continua a credere nella sanità pubblica, ma con fatica. Lo conferma la testimonianza di una seconda infermiera, in servizio in un altro reparto: «Siamo rimaste la metà rispetto a qualche anno fa. È una coperta sempre più corta. La settimana scorsa mi hanno chiesto di rientrare, ma ho detto di no. Gli straordinari non sono più sostenibili. A livello di tutele, ci sentiamo ancora protetti rispetto ad altre realtà, ma si lavora male. Non ho mai pensato di andare nel privato: credo ancora nella sanità pubblica. Ma ho pensato di cambiare completamente lavoro, sì. Solo il senso di responsabilità verso la mia famiglia mi trattiene».

La direzione dell’ospedale risponde con una nota in cui spiega che «l’azienda ospedaliera ha formalmente comunicato, tramite mail inviata a tutti i dipendenti, quanto già riferito in totale trasparenza nell’incontro sindacale del 28 aprile». In quell’occasione, si era chiarito che la tariffa a 60 euro l’ora sarebbe stata mantenuta «fino a esaurimento dei fondi previsti dalla legge di bilancio nazionale». Una nuova tranche di finanziamenti, spiegano dall’Azienda, è prevista per metà giugno grazie all’incremento previsto dal decreto Milleproroghe. Questo permetterà, con il pagamento di luglio, di integrare retroattivamente le prestazioni effettuate nei primi giorni di maggio, «senza penalizzare alcun professionista». La direzione conferma infine la «consueta volontà di confronto con le organizzazioni sindacali per individuare, all’interno del quadro normativo, le possibili soluzioni migliorative a favore dei lavoratori».

Ma la Cgil non ci sta. In una lettera inviata alla direzione, il sindacato ricorda che l’accordo regionale sulle prestazioni aggiuntive prevede un monitoraggio costante della spesa, proprio per evitare cambi repentini come quello avvenuto.

«Nel confronto del 28 aprile – si legge nella missiva – era stato comunicato che il valore di 60 euro sarebbe stato mantenuto fino ad esaurimento risorse, ma l’azienda non ha fornito dati aggiornati sulla spesa già effettuata, nonostante le nostre richieste. Questo ha impedito di avere consapevolezza della situazione in tempo utile». La comunicazione di “aggiustamento” successiva «non cancella la gravità di come è stata non gestita la situazione».

Il sindacato chiede infine «lo stanziamento stabile delle risorse dedicate» e avverte: «Se i soldi non ce li dovesse mettere la Regione, che li metta di tasca propria l’azienda. Non può semplicemente prendere atto dei fondi ricevuti, deve attivarsi per richiedere le risorse necessarie».

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Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore