Nell’ambiente dello spaccio tutti lo conoscono come “Minur”. È lui, un marocchino di 36 anni regolare in Italia e già noto alle forze dell’ordine, l’uomo arrestato dalla Squadra Mobile di Novara con l’accusa di aver sparato e ucciso la notte del 28 agosto vicino al sottopasso di via Gnifetti il 20enne Kamal Kharbouch. Un regolamento di conti finito nel sangue, nato da un incontro tra gruppi contrapposti legati al traffico di droga.
Secondo la ricostruzione della Squadra Mobile della Questura di Novara, guidata dal commissario Fabiana Melfi, a premere il grilletto sarebbe stato un marocchino di 36 anni, regolare in Italia, già noto alle forze dell’ordine per precedenti legati allo spaccio di droga. Proprio nel mondo degli stupefacenti gli investigatori hanno concentrato fin da subito le indagini: quello in via Gnifetti non sarebbe stato un incontro casuale, ma un appuntamento fra due gruppi contrapposti legati allo spaccio, a cui hanno preso parte complessivamente cinque persone, fra cui la vittima, l’aggressore e alcuni conoscenti.
Sul luogo del delitto gli agenti hanno trovato coltelli da cucina e perfino una katana, chiaro segnale che tutti i presenti erano arrivati “preparati” all’incontro.
Il questore Fabrizio La Vigna ha sottolineato che il delitto, «per quanto grave, non deve essere letto come un marchio su Novara che è stata scelta per puro caso. Via Gnifetti forse perché considerata appartata, ma questo episodio avrebbe potuto verificarsi in qualunque altra città». Melfi ha aggiunto che «in questi contesti non esiste mai un luogo prestabilito: contano le dinamiche interne ai gruppi coinvolti».
Le indagini, condotte “alla vecchia maniera” con ascolto di testimoni e incrocio di informazioni nel sottobosco dello spaccio, hanno permesso in pochi giorni di risalire al responsabile. Fondamentali anche l’analisi dei dati contenuti nel cellulare della vittima, gli ultimi contatti, la visione delle telecamere di via Pietro Micca e delle zone limitrofe che hanno ripreso la scena. Il 36enne è stato raggiunto da una misura cautelare richiesta dalla Procura e ora si trova nel carcere di Novara a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Kharbouch era morto poco dopo il trasporto in ospedale: inizialmente si era parlato di un arresto cardiaco, ma i medici avevano subito notato un foro sul torace. In un primo momento non era chiaro se provocato da una lama o da un proiettile, poi l’autopsia ha stabilito che si è trattato di un colpo di arma da fuoco di piccolo calibro, probabilmente una 22. Su quest’aspetto, così come sull’identità delle altre persone presenti all’incontro e sulle loro eventuali responsabilità, le indagini sono ancora in corso.
«Il presunto assassino – ha continuato Melfi – che aveva l’obbligo di firma in Questura, si era reso irreperibile nei giorni immediatamente successivi all’omicidio. Quando ha capito che il cerchio si stava stringendo intorno al suo ambiente, probabilmente pensando di non destare sospetti ha ricominciato a presentarsi regolarmente ed è stato in quel momento che è scattato l’arresto».