«Non siamo eroi, i cittadini ci devono aiutare»

La sua è soltanto una voce, ci tiene a precisarlo più e più volte. Una voce, la sua certo, ma rappresenta la situazione e la condizione di tanti altri colleghi. «Non sono l’eroina di turno», precisa anche questo.

Una fotografia con due valigie, parole d’amore, quelle che è abitudine leggere quando appare un suo post, ma questa volta un po’ di più, l’immagine di un cuore, di un quadrifoglio portafortuna: così Daniela Crepaldi, infermiera di terapia intensiva al Maggiore di Novara, presidente dell’associazione Edo’Smaile, racconta la scelta di allontanarsi, in questo momento di emergenza, dai suoi tre figli, Federico, Mariavittoria ed Edoardo. «Quando mi sono accorta che la situazione stava davvero diventando difficile ho dovuto fare una scelta – dice – da un lato c’è la tutela dei miei figli, dall’altro l’etica e la deontologia. E ho avuto la fortuna di poter fare questa scelta, perché ho la mia famiglia che mi aiuta. E’ stata una scelta dolorosa, non so cosa darei per avere qua i miei figli, che mi chiamano ogni minuto, ed è tutto triplicato per me – dice sorridendo – ma giusta per proteggerli. E poi c’è appunto l’etica, il mio lavoro mi è sempre piaciuto». Daniela Crepaldi ha lavorato per dieci anni in Cardiochirurgia e ora è in Unità coronarica: «Di fatto essere infermiera di terapia intensiva ti porta sempre a fare un lavoro impegnativo, senza nulla togliere agli altri colleghi, siamo abituati a vivere situazioni difficili, ora è ancora più impegnativo».

Avresti mai pensato di vivere una dimensione del genere?
Mai, né a livello di vita personale, né a livello lavorativo. Questa è davvero una situazione di maxi emergenza. Già solo indossare tutte le protezioni, “bardarsi tutti”, come dico sempre, è stancante, devi fare molta attenzione, anche poi nella svestizione. Oltre al lavoro pratico noi infermieri siamo abituati a creare un rapporto con la persona malata, con la famiglia, aspetti che ora non ci sono e tutto questo manca. Pensare che noi stessi fra colleghi non ci riconosciamo essendo tutti coperti. Gli occhi diventano un mezzo importantissimo, perché di fatto hai liberi solo quelli e allora cerchi di essere espressiva più che puoi con il paziente, che forse ricorderà i tuoi occhi, così come noi ricorderemo i loro. Gli occhi ora vanno a sostituire quella stretta di mano, quella carezza, quel fermarsi a fare una chiacchiera… è una dura prova, a livello personale e professionale.

 

[the_ad id=”62649″]

 

Come si gestiscono le emozioni della giornata con il proprio ruolo?
Cerchiamo lo stesso di dare il massimo, di fare del nostro meglio, anche se a volte ti senti quasi impotente. A volte ti viene a piangere, non lo nascondo. La situazione non è semplice, è un continuo correre. C’è il dolore, che vivi con le persone, ma cerchi di avere l’occhio lungo e di provarci, di fare lo stesso la tua assistenza, anche se in chiave totalmente nuova.

“Restate a casa”, sembra non essere ancora chiaro a tutti…
Purtroppo molti non lo hanno ancora capito. I cittadini ci devono aiutare. Se ci ammaliamo anche noi operatori, e non è fantascienza, si crea un vortice tremendo. E’ necessario il rispetto totale delle regole e il sale in zucca. Stare a casa riduce al circolazione del virus. La nostra forza c’è, ma non è infinita e abbiamo bisogno di aiuto per tenerla viva. Facciamo una vita di sacrificio e seguiamo la deontologia perché ne siamo convinti: non rispettare le regole è irriguardoso nei nostri confronti. Non vanifichiamo gli sforzi.

© 2025 La Voce di Novara
Riproduzione Riservata