Due incidenti. Nove persone che non ci sono più. Tutte residenti tra il Novarese e il Verbano Cusio Ossola. In meno di due settimane, le autostrade si sono trasformate in trappole mortali per famiglie intere, per coppie, per persone che condividevano affetti e luoghi di vita. Non numeri, non statistiche: vite spezzate che aprono voragini in comunità intere.
Il primo noto schianto avvenuto lo scorso 15 luglio sull’autostrada A1, nel tratto tra Barberino del Mugello e Calenzano, all’interno della galleria di Base. Una Fiat Panda si ferma improvvisamente in corsia di marcia. Alcune auto riescono ad evitarla, un camion no. L’impatto è devastante. A bordo dell’utilitaria c’era un’intera famiglia di Gravellona Toce: Mauro Visconti, 69 anni, e sua moglie Nydia Albuquerque, 65 anni, insieme alla figlia Silvana Visconti, 37 anni, alla nipotina Summer, 4 anni, e a Carla Stephany Visconti, sorella di Silvana. La bimba e la madre moriranno in ospedale. A bordo c’era anche il cagnolino di famiglia, anche lui morto sul colpo. Una famiglia scomparsa in un attimo, nel buio di una galleria.
Poi l’orrore si ripete. Ieri, 27 luglio, ancora un incidente, ancora un tratto autostradale: questa volta sull’A4, tra Novara Est e Marcallo Mesero: due coppie che viaggiavano insieme, amici e vicini di casa a Novara: Mario Paglino e Gianni Grossi, noti per essere i creatori delle Barbie da collezione, e Valerio Amodio Giurni con la moglie Silvia Moramarco, l’unica sopravvissuta, ricoverata in condizioni disperate al Niguarda. La loro auto è stata falciata via da un’altra guidata da un 82enne entrato in autostrada e che avrebbe poi compiuto un’inversione a U, andando a impattare frontalmente tragicamente. Anche lui, Egidio Ceriano, residente a Cerano, è morto nello schianto.
Due drammi distinti, eppure raccontano la stessa tragedia: quella di un territorio che in pochi giorni ha visto morire nove dei suoi cittadini lungo le autostrade italiane. Non è solo un numero, non è solo cronaca. È un lutto collettivo. È un senso di impotenza che si allarga, che interroga chi resta.
Da una parte una famiglia intera, dall’altra due coppie, unite non solo dal viaggio ma anche da un’amicizia quotidiana. Volti noti, come nel caso di di Paglino e Grossi, storie vicine per tutti gli altri di gente che incontravi per strada, che aveva ancora progetti, che stava andando o tornando da qualche parte.
È una sequenza che colpisce per la sua gravità e per la vicinanza umana e territoriale delle vittime. Ora restano il vuoto, il dolore, le indagini e il senso di smarrimento. E domande che si affacciano nei pensieri di molti: quanto ancora potrà accadere? Quanto pesa davvero la responsabilità individuale, l’errore umano, la distrazione o la scelleratezza, sulle nostre strade?
Nessuna riflessione potrà davvero spiegare ciò che è accaduto. Ma provare a guardare in faccia questo dolore, riconoscerlo come parte della nostra comunità, può essere un primo passo per non lasciarlo scivolare nel silenzio. E stringersi, anche da lontano, attorno alla famiglia e agli amici dell’unica sopravvissuta a queste due tragedie. Pregare per lei, con la fede o laicamente, ma comunque coltivando una speranza.