Servizio di Cecilia Colli e Luca Galuppini
Nel consiglio comunale di lunedì 16 giugno scorso il sindaco Alessandro Canelli è stato chiaro: la variante al Piano regolatore per l’area di corso Vercelli sarà l’ultima destinata alla logistica. Una dichiarazione che, almeno nelle intenzioni dell’amministrazione, dovrebbe segnare un punto fermo in una lunga stagione di trasformazioni urbanistiche legate allo sviluppo dei poli logistici. Ma le parole del primo cittadino non hanno placato le critiche delle opposizioni, che da anni contestano la “deriva” logistica della città, denunciando il consumo di suolo, l’impatto ambientale e la qualità dell’occupazione.
Eppure, l’attuale maggioranza ha sempre rivendicato una visione coerente: Novara, crocevia naturale tra il nord e il sud dell’Europa, è da tempo un nodo strategico per la movimentazione delle merci. Una vocazione – si sostiene da Palazzo Cabrino – che va governata, non ostacolata. La logistica, secondo questa impostazione, porta lavoro, investimenti e infrastrutture. E i numeri, almeno in parte, sembrano dare loro ragione.
Una cinta di capannoni
A uno sguardo satellitare, però, Novara appare come un’isola circondata da un anello industriale: una vera e propria “cinta muraria” fatta di capannoni e poli logistici, che negli ultimi anni si sono moltiplicati lungo le direttrici sud, est e sud-est del territorio.
Sono 21 i poli logistici già attivi, in costruzione o in approvazione nel novarese, 10 dei quali solo in città: tre operativi (Cim, Amazon e Sant’Agabio), due già costruiti ma ancora vuoti (ad Agognate e sulla provinciale Biandrate), uno in cantiere (Calalgiate/corso Vercelli), uno approvato (sempre in corso Vercelli), due in attesa di via libera (entrambi a Sant’Agabio). Il progetto più discusso – quello di Pernate, per oltre 860 mila metri quadrati, più dell’intero quartiere che dovrebbe ospitarlo – è stato sospeso, ma non ancora ufficialmente ritirato.
Fuori dal capoluogo, i nuovi insediamenti si distribuiscono in modo concentrico: due a Trecate, due a Romentino, due a Cameri, due a Galliate, due a San Pietro Mosezzo, uno a Orfengo (frazione di Casalino). Complessivamente si parla di 4 milioni 739 mila di metri quadrati di superficie interessata, di cui circa 1,5 milioni occupati da capannoni.
Il polo più grande resta quello del CIM, il Centro intermodale merci a ridosso della tangenziale, con i suoi 600 mila metri quadrati e una funzione strategica all’interno dei corridoi logistici europei. Un’infrastruttura che si sta ulteriormente potenziando per intercettare le merci lungo la direttrice Genova-Rotterdam.
L’altra faccia della medaglia
Ma al di là delle cifre, è sul piano ambientale e sociale che la logistica fa discutere. I dati contenuti nel rapporto Ispra 2024 (con i numeri aggiornati al 2023) non lasciano spazio a dubbi: il Piemonte è la quarta regione per consumo di suolo, con un incremento di 553 ettari in un anno, e la provincia di Novara si distingue – in negativo – per la percentuale più alta di territorio occupato in rapporto alla superficie totale: l’11%. Novara è il terzo capoluogo piemontese per suolo già consumato (2.175 ettari), ma è Cameri, con il suo 27%, il comune novarese con l’incidenza più elevata.
Numeri che allarmano le minoranze di Novara, le quali sottolineano come il lavoro portato dalla logistica sia spesso precario, frammentato, affidato a cooperative o appalti esterni. «Non è vero che un capannone equivale automaticamente a centinaia di posti di lavoro – hanno detto più volte i consiglieri in aula –. A volte, per superfici enormi, il personale impiegato è minimo, perché molte strutture sono automatizzate».
Una visione opposta a quella della giunta, che continua a citare l’esempio di Amazon ad Agognate, dove sono attualmente occupati stabilmente più di 1.200 dipendenti, con una crescita superiore alle previsioni iniziali.
L’ultima variante?
La variante per corso Vercelli (oltre 500 mila metri quadrati) è presentata come l’ultimo tassello. Prevede la nuova sede di Comoli Ferrari e una nuova area logistica affidata a un altro soggetto, Ma l’impressione, per molti osservatori, è che si tratti più di una pausa che di un vero stop.
Intanto, le polemiche non si spengono. C’è chi parla di «bolla immobiliare dei capannoni», con rischi di sovraccapacità. Altri denunciano pratiche di green-washing: molti progetti parlano di logistica “sostenibile”, ma solo pochi prevedono davvero impianti fotovoltaici o certificazioni ambientali. Ancora pochi, inoltre, i dati pubblici su viabilità e qualità dell’aria nei pressi dei poli più trafficati.
Una scelta irreversibile?
La trasformazione è avviata. In pochi anni Novara è diventata uno dei territori più infrastrutturati del nord Italia in termini di logistica. È il frutto di una scelta politica chiara, che la giunta rivendica come coerente e pianificata. Ma le domande restano: a chi conviene davvero questa espansione? Quali benefici lascia sul territorio? E soprattutto: quanto è sostenibile nel lungo periodo?
Per ora, l’unica certezza è che la “cinta logistica” di Novara non è più un’ipotesi, ma una realtà già visibile. Dall’alto e dal basso.
Silicon Box, la svolta possibile
Eppure qualcosa potrebbe cambiare. A segnare una possibile inversione di rotta è l’ormai noto annuncio dell’insediamento di Silicon Box a Novara: un colosso internazionale dei semiconduttori che ha scelto proprio il territorio novarese per costruire uno stabilimento produttivo all’avanguardia unico in tutto Europa. Un investimento da 3,2 miliardi di euro che promette mille posti di lavoro qualificati entro pochi anni e che, almeno nelle intenzioni, rappresenta molto più di una semplice operazione industriale.
Per la prima volta dopo anni si parla di produzione avanzata, ricerca, innovazione, filiere tecnologiche. Non più logistica, ma industria. Non solo magazzini, ma sviluppo. E molti osservatori vedono in questo progetto la svolta di cui il territorio aveva bisogno, un’occasione concreta per diversificare il tessuto economico e rilanciare l’identità industriale di Novara.
Un progetto che, se realizzato nei tempi e nei modi previsti, potrebbe davvero ridisegnare la traiettoria di crescita del territorio e spostare il baricentro del dibattito: non più quanti capannoni costruire, ma quale futuro immaginare.
Una risposta
Da un acquario si può fare una zuppa di pesce ma da una zuppa di pesce non si può fare un acquario. Scelta sbagliata, ne pagheremo le conseguenze.