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Non solo Covid: le conseguenze sulle prestazioni sanitarie e l’importanza dell’appropriatezza

Dallo scorso mese di febbraio, quando sono stati segnalati i primi casi di infezione da Covid-19, l’intero sistema delle cure è stato oggetto di una straordinaria riconversione dei servizi che non ha precedenti nella storia del nostro Paese.

Fin dai primi momenti della pandemia, al fine di reperire personale, strutture e attrezzature per far fronte all’enorme ondata di pazienti affetti da Covid, molti servizi sanitari sono stati tempestivamente ridimensionati, sospesi o completamente riorganizzati. Nello stesso tempo, per il timore di contrarre l’infezione recandosi in ospedale o per le restrizioni della mobilità individuale, tantissime persone hanno sospeso o ritardato l’accesso alle cure di cui avevano bisogno. Tutto ciò ha comportato una forte riduzione delle prestazioni sanitarie con conseguenze sulla salute della popolazione che si stanno rivelando sempre più gravi.

Recenti dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) riportano una riduzione del 50% dei ricoveri ordinari nei primi sei mesi del 2020 e del 28% di quelli urgenti, e una diminuzione del 30% delle visite specialistiche e delle prestazioni diagnostiche.

Particolarmente critici sono considerati l’ambito cardiovascolare e quello oncologico.

Netta riduzione del ricorso agli screening: fonti ISTAT rilevano una riduzione del 53% degli screening per ricerca del tumore colorettale nel periodo gennaio-settembre 2020 rispetto all’analogo periodo del 2019, del 49% di quello della cervice uterina e del 43% dello screening mammografico.

Apprendiamo inoltre, sempre da fonti ISTAT, che è aumentata del 40% la percentuale di cittadini che hanno rinunciato alle cure, passando dal 6,3% nel 2019 al 10% nel 2020; le donne dai 45 anni in su hanno rinunciato maggiormente alle cure, con punte fino al 15%.

Altri studi hanno messo in luce che la riduzione dei servizi sanitari si accompagna ad un aumento delle diseguaglianze di salute tra ricchi e poveri, dato che le conseguenze peggiori dovute alla contrazione dei servizi gravano inevitabilmente sulle fasce di popolazione più svantaggiate. I malati di mente, le persone in stato di indigenza e gli immigrati sono infatti le persone più vulnerabili alle malattie e alle loro conseguenze.

Slow Medicine si unisce alle richieste di un potenziamento dei servizi sanitari, negli ospedali e sul territorio, e di tutto il personale che vi opera, già ridotto nel corso degli anni per i risparmi sulla spesa sanitaria e ora sottoposto a una fortissima pressione fisica e psicologica.

Nello stesso tempo, però, in accordo con lo stesso personale, ricorda con forza che mai come in questo momento è necessario riconvertire le risorse sanitarie verso interventi di riconosciuta efficacia, azzerando o comunque limitando le prestazioni che la letteratura internazionale ha ripetutamente classificato come non necessarie (circa il 30% del totale) e attribuendo la priorità a quelle necessarie e non procrastinabili.

In un periodo di crisi del sistema delle cure come quello che stiamo vivendo, non è più tollerabile che il servizio pubblico (ma anche quello privato) continui a sprecare risorse effettuando prestazioni non necessarie e perfino dannose, mentre molte persone soffrono e rischiano di morire per non poter accedere alle prestazioni efficaci di cui hanno davvero bisogno.

Sono stati messi a punto di recente in Italia, con la collaborazione dei professionisti, due strumenti in grado di migliorare l’appropriatezza clinica e quella dei tempi di erogazione delle prestazioni:

– le raccomandazioni del progetto “Fare di più non significa fare meglio – Choosing Wisely Italy”: 265 raccomandazioni su esami, trattamenti e procedure a rischio di inappropriatezza definite da 50 Società scientifiche nazionali di medici, infermieri, farmacisti e fisioterapisti (clicca QUI)

– i Raggruppamenti di Attesa Omogenea (RAO), strumento per il governo delle liste di attesa che permette di attribuire tempi di attesa differenziati ad oltre 100 prestazioni specialistiche ambulatoriali, avvalendosi di criteri di priorità clinica: minor tempo d’attesa in caso di maggiore urgenza clinica, e viceversa.

Riteniamo che l’applicazione congiunta delle raccomandazioni di Choosing Wisely Italy e dei Raggruppamenti di Attesa Omogenea (RAO) tramite l’alleanza fra medici delle cure primarie e medici specialisti e in accordo con pazienti e cittadini possa aiutare i clinici e gli amministratori a gestire le cure secondo criteri di appropriatezza e di rispetto delle priorità cliniche (fare le cose giuste nei tempi giusti), nonché di equità di accesso alle cure, in un momento particolarmente difficile per i cittadini e per i pazienti del nostro Paese.

Su questo obiettivo abbiamo condiviso un documento di intenti con le società scientifiche di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva AIGO, SIED, SIGE, dato che la Gastroenterologia e l’Endoscopia digestiva appaiono aree particolarmente idonee alla loro applicazione. Hanno inoltre aderito società di professionisti del territorio e delle cure primarie (SIICP, SNAMID) oltre a C.A.R.D. (Confederazione delle Associazioni Regionali di Distretto). Progetti pilota sono in fase di realizzazione a Belluno, Venezia, Arezzo e Palermo.

Riteniamo che anche i cittadini debbano prendere parte a queste decisioni, affinché non rinuncino alle cure di cui hanno bisogno ma nello stesso tempo siano adeguatamente informati dei rischi associati alle cure non necessarie e dell’opportunità etica, soprattutto in questo momento, di utilizzare le risorse (limitate) per esami e trattamenti di provata efficacia e per i pazienti che ne hanno reale necessità (clicca QUI)

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Sandra Vernero

Sandra Vernero

Medico chirurgo, cofondatore e presidente Associazione Slow Medicine, coordinatore del progetto "Fare di più non significa fare meglio - Choosing Wisely Italy”

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