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Le illusioni del sovranismo

L’affermazione nei sistemi politici occidentali delle forze che si definiscono sovraniste viene generalmente fatta risalire alle conseguenze della crisi economica sviluppatasi a partire dal 2008 e alle politiche utilizzate per contrastarla e all’aumento consistente dei flussi migratori degli anni successivi. Secondo la lettura proposta da tali forze, entrambi i fenomeni hanno origine dai processi di globalizzazione, sostenuti e prodotti dall’ordine liberale e dal multilateralismo. Di conseguenza, per rilanciare la crescita economica e fermare l’afflusso di uomini e donne provenienti da altri paesi viene proposto di ripristinare l’autorità dei singoli stati nazionali e di adottare politiche estremamente selettive nella concessione della cittadinanza e dei benefici connessi, anche se in forme diverse e non sempre coincidenti tra di loro. In alcuni casi i partiti e i movimenti che sostengono queste posizioni sono di nuova costituzione e si sono formati proprio per raccogliere intorno a questi programmi lo scontento di larghi strati delle società occidentali, in altri casi sono state formazione politiche già ben presenti e radicate ad adattare i loro programmi a questa lettura, riformulando temi già presenti nella loro cultura politica. Nel caso dei paesi membri dell’Unione europea, l’ideologia sovranista – in tutte le sue diverse declinazioni – ha individuato proprio nell’Unione l’obiettivo contro cui convogliare tutte le critiche, elevandola a simbolo di tutto quanto di negativo l’ordine liberale e il multilateralismo hanno causato.

Resta il fatto che nello scenario che si è aperto in Europa dopo la disgregazione della potenza sovietica e la conseguente poco governata accelerazione dei fenomeni di globalizzazione, il processo di integrazione ha assunto un nuovo significato, diventando, oltre che la condizione indispensabile per promuovere la pace, i diritti e la democrazia, lo strumento principale per permette alle nazioni europee di continuare a svolgere un ruolo attivo nella politica mondiale e governare, di riflesso, proprio quei processi che indeboliscono la coesione delle rispettive società, anziché diventare irrilevanti attori che subiscono le politiche altrui. La sovranità in politica estera non è una dichiarazione di principio; è una prerogativa che necessita dell’attributo dell’effettività.

E, nelle condizioni di interconnesione in cui si trova il mondo contemporaneo, nemmeno gli Stati Uniti possono dire di essere pienamente sovrani, figuriamoci l’Italia o l’Ungheria. Inoltre, sarebbe ora di incominicare ad affermare in modo chiaro anche nel dibattito pubblico, che l’essenza della democrazia implica il superamento del concetto di sovranità, che è stato definito da autori come Jean Bodin e Thomas Hobbes impegnati nella costruzione teorica dello stato assoluto. In pagine insuperate del suo Cristianesimo e democrazia, Jacques Maritain mostra l’inadeguatezza dell’idea di sovranità popolare di ascendenza rousseauiana, argomentando che in una democrazia non esistono sovrani, ma eguali che si dànno regole di convivenza. Concetto che verrà formalizzato da Robert Dahl nel 1971 in Polyarchy, una delle descrizioni più accurate del concetto di democrazia e del funzionamento dei sistemi democratici.

A voler essere maliziosi, poi, si potrebbe anche notare che i due attuali vicepresidenti del Consiglio italiano si sono battuti come leoni per difendere la costituzione più bella del mondo nel referendum del 2016, proprio quella Costituzione che all’articolo 11 «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» e «promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Detto con Leonard Cohen: «The frontiers are my prison».

Il testo di Jacques Maritain, Christianisme et démocratie, è stato pubblicato a New York nel 1943 per i tipi delle Editions de la Maison Française. L’ultima edizione italiana è stata pubblicata nel 2007 da Passigli con il titolo Cristianesimo e democrazia. Lo studio di Robert Dahl, Polyarchy. Participation and Opposition, è stato pubblicato dalla Yale University Press nel 1971. L’edizione italiana, Poliarchia. Partecipazione e opposizione nei sistemi politici è stata pubblicata da Franco Angeli nel 1981. Il verso «The frontiers are my prison» è contenuto nella canzone The Partisan – traduzione di una delle canzoni simbolo della Resitenza francese, La complainte du partisan, il cui testo è stato composto a Londra nel 1943 da Emanuel d’Astier de la Vigierie – incisa da Leonard Cohen nel 1969 nell’album Songs from a Room.

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Giovanni A. Cerutti

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