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“Pinocchio” è sempre una storia avvincente per chi si rifiuta di crescere, come diceva Carmelo Bene, un po’ meno per chi poi si è rassegnato a farlo, come lo stesso Pinocchio,  che però ha l’attenuante di non aver conosciuto il “leggendario”. E così ho visto volentieri l’ennesimo “Pinocchio” della mia vita. Veramente non morivo dalla voglia di vedere “Pinocchio” di Matteo Garrone, ma mi sentivo in dovere di farlo e non ho fatto male, perché si tratta di un bel film, realizzato con una cura quasi artigianale, ben sceneggiato e ben scritto da Garrone stesso e da quel “bischero” di Massimo Ceccherini, che poi si è visto che proprio bischero non è, anche per l’ottima interpretazione nella parte della Volpe. Certo che Garrone ha voluto vincere facile con una storia che risponde a tutte, o quasi, le trentun funzioni della fiaba secondo Vladimir Propp (ricordiamo tutti il fondamentale “Morfologia della fiaba”), anche se, in fondo, “Pinocchio” fiaba non è, ma è, a tutti gli effetti, un’opera della letteratura, forse anche della “grande letteratura”. Ed è stata una mossa più accattivante che necessaria, quella di far interpretare a Roberto Benigni, la parte di Geppetto. Bella la fotografia con cui Garrone si balocca molto e ci gioca dipingendo panorami alla Fattori, ma in fondo non c’è nulla si male. Insomma, se vogliamo, un film di Natale, ma non sarebbe male ricordarsi di far vedere o far leggere ai bambini di oggi, un po’ troppo “scafati”, la storia scritta da Lorenzini Carlo da Firenze, detto Collodi. Chissà che, anche ai bambini di oggi, non venga voglia di restare bambini un po’ più a lungo, senza diventare burattini da adulti.

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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