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A Novara ci sono due grandi scuole di pensiero riguardo al periodo post-natalizio che si possono riassumere in due precise posizioni che non ammettono defezioni o ripensamenti. La prima dice che l’albero di Natale si smonta (in termine tecnico “si disfa”), la domenica dopo l’Epifania, la seconda sostiene che sia legittimo tenerlo addobbato fino alla festa patronale di San Gaudenzio il 22 gennaio. Io ho, essendo figlio di una piemontese e un campano, ho sempre rispettato la prima usanza con una spiccata tendenza a mettere mano all’operazione anche prima, ovvero un giorno o due dopo la Befana. È sempre un momento molto molto triste, è il momento in cui sento di più il tempo che passa.

Per meglio dire, sento di più il tempo che passa invano e il motivo è sempre lo stesso: colpa della carta di giornale in cui avvolgo con cura le decorazioni, le palline, il puntale, le lucine. Ogni anno conservo la carta di giornale degli anni precedenti. Non si tratta di un eccesso di coscienza ecologica, ma di una sorta di rito scaramantico. Certo, ogni tanto occorre cambiarla, quando è molto usurata oppure quando i pezzi di carta non si adattano più a qualche nuova palla colorata. E così da bambino vedevo carta di giornale con i titoli della “Gazzetta del Popolo” o dell’Avanti, poi via via ne ho visti con i titoli de “La Stampa”, de “L’Unità”, poi de “Il Manifesto”, di “Lotta Continua”, poi de “La Repubblica”, ma anche del “Quotidiano dei Lavoratori”, poi del “Corriere della Sera”, poi del “Fatto Quotidiano”, e ciclicamente anche di altri quotidiani. Quest’anno ho avvolto una decorazione in un foglio del quotidiano “Domani”, nuovo arrivato nel panorama della stampa italiana.

Vedremo che effetto mi farà, il prossimo anno, aprire la scatola delle palle e leggere il titolo di qualche giorno fa: “A Trump resta solo il suo delirio”. La cosa più interessante e rassicurante è vedere come le boiate siano ricorrenti: un Renzi che promette di rottamare tutto il rottamabile di qualche anno fa, Maroni che sbraita qualcosa circa il federalismo nelle carte di qualche anno prima, Bossi che parla di Celti, la Mussolini che va in tv ad elogiare la puntualità dei treni per merito del nonno.

Ma anche Claudio “Bimbo” Martelli che moraleggia su corrotti e corruttori, Cirino Pomicino che lancia strali contro non so chi, la solita Juve che vince il solito scudetto per merito di rigori concessi con una certa magnanimità, Il Vaffa Day, le primarie del Pd, quelle di Clinton, l’onnipresente tunnel di cui non si vede l’uscita, i no-tav, i no-tax, i no-tap, i no-vax. Per ogni titolo ho scelto la palla adeguata, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Volete sapere cosa ho incartato nel faccione delirante di Trump? Ci ho incartato il passerotto paffuto con l’aluccia rotta; ce l’ho da tanti anni, e quando cadde e si ruppe un aluccia. L’ho risposto con la solita cura e il prossimo anno lo ritroverò e lo rimetterò sul solito ramo in alto sull’alberello e quando vedrò la carta strappata con il faccione di Trump imbufalito, penserò ancora che il tempo passa. Spesso invano…

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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