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La Voce dell’estate – Barolo: nel piccolo paese del vino dei re, ma anche re dei vini

La rubrica estiva del sabato è dedicata alle Docg piemontesi. Oggi la prima puntata nel cuore delle Langhe: un'occasione per conoscere la storia

Iniziando un percorso turistico ed enogastronomico nella nostra regione alla scoperta dei vini dalla denominazione di origina controllata e garantita non possiamo che partire da quello che viene considerato un po’ da tutti non solo il vino dei re, ma il re dei vini. Stiamo parlando del Barolo, una delle eccellenze piemontesi, vero e proprio “cuore pulsante” di quell’area geografica conosciuta come Langhe, riconosciuta come Patrimonio dell’Unesco.


Le prime notizie di un certo rilievo riguardanti il Barolo si hanno nei primi decenni del XIX secolo nell’omonimo paese in provincia di Cuneo. Località dalle suggestive caratteristiche, il cui agglomerato urbano si differenzia rispetto ai quelli delle località vicine, addossati intorno alla sommità di un colle o lungo un crinale. Barolo chiude in una vallata, adagiandosi su un piccolo altipiano a forma di sperone, dove i rilievi circostanti assumono la forma di un anfiteatro.


Il piccolo abitato (i residenti non sono neppure un migliaio) si cinge attorno al castello un tempo della famiglia Falletti, titolare del titolo marchionale. Furono proprio Tancredi, ultimo della sua casata, e sua moglie francese Juliet Colbert, poi conosciuta come la marchesa Giulia di Barolo, a dare una impronta “moderna” alla produzione del Barolo, già da tempo sulla tavola di Casa Savoia, e grazie anche al contributo del conte di Cavour al miglioramento della sua produzione, basata grazie all’utilizzo esclusivo di uve Nebbiolo.


La “scalata” al successo cominciò a concretizzarsi negli anni ’70 dell’Ottocento con i primi riconoscimenti a livello internazionale, ma di delimitazione del territorio come zona di produzione si cominciò a parlarne nel 1909 al termine di lavori condotti dal Comitato agrario di Alba, mentre nel 1934 ci sarà la fondazione di un Consorzio di vini tipici, passo fondamentale perima del riconoscimento Doc nel 1966 e Docg nel 1980. Undici sono i comuni, per un’area complessiva di 1.700 ettari, dove il disciplinare consente la produzione di Barolo: oltre a quello che dà il nome al vino vi sono Cherasco, Verduno, Roddi, La Morra, Grinzane Cavour, Castiglione Falletto, Diano d’Alba, Novello, Serralunga d’Alba e Monforte d’Alba. Pregiato vino da invecchiamento, per chiamarsi tale il Barolo deve “maturare” almeno 38 mesi a decorrere dal 1° novembre dell’anno della vendemmia, di cui 18 in botti di legno, mentre il termine “Riserva” lo si raggiunge dopo cinque anni di affinamento.


Al di là di queste essenziali note tecniche, Barolo – inteso come centro – è un paese dove il vino, prima ancora di berlo, lo si “respira” in ogni angolo di strada. Il castello una volta dei Falletti oggi ospita il Wimu (museo multimediale del vino, oggi aperto tutti i giorni dalle 10.30 alle 19, info telefonando allo 0173 386697) e l’enoteca regionale, ma diverse sono le iniziative tradizionali che attendono di riprendere una volta terminata l’emergenza pandemica.

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Luca Mattioli

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