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Vino italiano e dazi americani. Nel mirino anche i produttori del territorio

Vino e dazi americani. Anche il Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte segue con particolare attenzione l’evoluzione dell’iniziativa da parte dell’amministrazione Trump di introdurre ulteriori misure “protezionistiche” nei confronti di prodotti provenienti dall’Europa. E il vino appunto, uno dei fiori all’occhiello del nostro territorio e dell’intero Made in Italy per il mercato d’oltreoceano, sembra destinato a non essere risparmiato. In questa fase.

 

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Una situazione «che indubbiamente ci preoccupa non poco – ha ammesso Andrea Fontana, presidente dell’organizzazione con sede a Ghemme e che raggruppa diversi produttori vitivinicoli delle quattro province del cosiddetto Quadrante, le cui punte di diamante sono rappresentate dalle due Docg del nostro territorio, il Ghemme e il Gattinara, ma anche da altre Doc conosciute e apprezzate in Italia come all’estero -. Non avendo un ufficio estero “diretto” non possiamo seguire gli sviluppi del mercato e ogni nostro associato si comporta di conseguenza. Più in generale si può dire invece che un eventuale aumento dei dazi potrebbe incidere sulla domanda di certi mercati, con un riversamento verso il mercato interno, che potrebbe saturarsi non poco». Con una chiara allusione anche ai vini d’Oltralpe e più in generale a quelli di altri Paesi europei che potrebbero ritrovarsi nelle stesse condizioni dell’Italia.

Tanti piccoli produttori, come gran parte degli associati al Consorzio, che uniscono passione e impegno, magari da generazioni, lavorando dalla vigna al commerciale. Come nel caso di Silvia Barbaglia dell’omonima azienda di Cavallirio, produttrice del pregiato Boca Doc e di una dozzina di altre tipologie che prevedono l’utilizzo dei vitigni autoctoni delle nostre Colline Novaresi, iniziando dal Nebbiolo.

Con 25 mila bottiglie per ogni annata la produzione di Barbaglia, in termini quantitativi, può ancora essere considerata minore, con un 5% destinato al mercato americano, in particolare a New York. E proprio nella Grande Mela, Barbaglia ha potuto, nei giorni scorsi, toccare con mano la realtà organizzativa nella commercializzazione di un prodotto come il suo, «partendo da un agente, passando agli importatori, sino all’arrivo del nostro vino sulle tavole dei ristoranti. Una catena diversa da quella alla quale siamo abituati in Italia».

Chiaramente un aumento dei dazi sarà destinato a incidere non poco sul prezzo finale della bottiglia, anche se «la clientela che apprezza e consuma un vino italiano, rimane ricercata e piuttosto di nicchia». Nella sostanza, il consumatore americano che già ora può permettersi di pagare un buon rosso italiano 100 o più dollari la bottiglia, non dovrebbe avvertire (forse)un ulteriore sovrapprezzo.

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Luca Mattioli

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