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Chen Zhen: “short-circuit”

Dal blog Chez Mimich

Quando si scosta le tenda d’ingresso dell’Hangar Pirelli Bicocca di Milano, si sa già che si va incontro ad un’esperienza estetica non comune. Rudi Fuchs scrisse che l’arte contemporanea è spesso inscindibile dai luoghi dove è esposta e che spesso il museo, la galleria o lo spazio espositivo, vanno a fare parte dell’opera stessa. Non che sia rilevante, ma la penso allo stesso modo, anche se forse questo concetto potrebbe valere per l’arte tout court, ma qui il discorso si allargherebbe troppo.

Benché in “Short-circuit” non ci siano opere site-specific (ricordiamo che Chen Zhen è scomparso nel 2000), è evidente che opere di tale inquieta solennità debbano essere viste in contesti adeguati. E anche questa volta, appena scostata la tenda che separa lo “shed” dalla navata centrale centrale dell’Hangar, la fascinazione è totale. Ci accoglie “Jue Chang Dancing Body-Drumming Moind (The last song), una monumentale installazione composta da sgabelli e sedie di legno assemblati fino a formare una sorta di gigantesco strumento musicale; ricordiamo che le “sedute” delle sedie sono di pelle animale e possono essere percosse da un performer. L’opera è il risultato compiuto della visione artistica di Zhen e del suo concetto di “transesperienze”.

L’arte non è meramente una vuota esperienza estetica, ma una operazione relazionale dovuta, in particolare, allo spostamento da un contesto di vita ad un altro, raccontata ed esperita attraverso l’oggettualizzazione di una esperienza archetipica. Il ventre della balena dell’Hangar serba oggetti di rara bellezza, elaborati da un artista che sembra saper trasformare il vissuto della terra natale in un paradigma della contemporaneità(stavo per dire del post-post moderno). Ecco gli enigmatici letti de “La Voie du sommeil” che il sonno potrebbero anche toglierlo, anziché proteggerlo. Si tratta di letti-forno della tradizione della Cina settentrionale. Un luogo di meditazione che simboleggia anche le tre fasi del taoismo, la mutazione della materia, l’importanza del credo e il potere salvifico della memoria.

Difficile indugiare su un’opera e trascurare le altre, ma se una scelta mi tocca operare, dopo i tre incantevoli letti, mi dirigerei convinto verso “Nightly Imprecation”, composto da tre parti: la prima é un letto tradizionale cinese con baldacchino sotto cui volteggiano sfere di polistirolo numerate e mosse da un ventilatore,la  parte centrale é costituita da una piramide rovesciata formata da vasi da notte cinesi e la terza parte é formata da un letto coperto da un drappo giallo e costellato da aguzzi aculei. Una complessitàsimbolica che se non rimanda al grande vetro duchampiano poco ci manca. La “macchina” produce un suono, uno sciacquio che rimanda al rito della pulitura dei vasi fortemente radicata nella memoria dell’infanzia dell’artista. Il rimando ad una ciclicitàdel tempo, con le attivitàdiurne razionali e feriali e quelle notturne meditative ed oniriche.

Un concetto semplice espresso apparentemente con il massimo grado di complessità, che dàragione alla apodittica definizione di artista che diede il caustico Karl Kraus: “Artista è colui che sa fare della soluzione un enigma”. E in fondo siamo qui per questo.  “Daily Incantation” è un’opera privatissima che scaturisce dalla memoria dell’artista. Anch’essa formata da orinali tradizionali disposti a semicerchio e da una sfera centrale di ferro riempita da scarti elettronici, fili, cavi. Si tratta di reperti mnestici dell’infanzia dell’artista, come il lavacro degli orinali è un gesto di una quotidianità perduta che l’artista rimemora insieme alla lettura del libretto rosso di Mao e che va a costituire l’essenza stessa della “rivoluzione culturale”, da lui vissuta attraverso questa splendida “madeleine”.È arduo operare una scelta sulle opere da commentare, tanti e tali sono gli stimoli sensoriali ed intellettuali che procurano. Ma se infine una scelta va fatta, passerei senza dubbio a “The Voice of Migrators”del 1995, un globo costituito da indumenti intrecciati tra loro con alcuni crateri-altoparlanti da cui fuoriescono registrazioni di voce di migranti che ora vivono in Francia. Opera dal significato trasparente ed esplicito, ma di grande impatto pur nella sua estrema semplicitàsemantica. Ma è davanti alla “Purification Room”che l’epifania della visita si compie.

Una stanza dove tutti gli oggetti di uso quotidiano sono ricoperti da una argilla monocroma grigia, una sorta di istantanea sugli oggetti del mondo cosìcome sono in questo istante da post-eruzione, in una Pompei della contemporaneità. Un atto di “purificazione” dell’esistente, attraverso una fissazione della realtà che sembra in attesa di una nuova “germinale”rinascita. Opera del 1994 anno della scomparsa dell’artista. Sono ancora molte e dense di significato le opere che andrebbero commentate in questa poderosa esposizione, come l’incredibile “Six Roots Enfance”, una incrostazione di soldatini di plastica sullo scafo di una barca, metafora delle “incrostazioni” della memoria a cui il titolo allude, cioè le sei capacitàsensoriali del corpo umano secondo il buddismo (vista, udito, olfatto, gusto, tatto e conoscenza). Occorre ora concentrarsi sull’ultima opera di questo viaggio delle meraviglie e cioè sul giardino meditativo intitolato “Jardin-Lavoir”, ovvero undici letti-bacini, con un impianto idraulico che fa gocciolare l’acqua su utensili della vita quotidiana in essi contenuti: vecchi televisori, giocattoli, vestiti usati, una materializzazione dell’esistenza e dell’esistito che necessita di una abluzione purificatoria. Grande mostra per un profondissimo artista.

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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