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Virgilio avverte Dante, ancora attonito davanti alla mostruosità di Lucifero, che è giunto il momento di lasciare l’inferno: sta sopraggiungendo la notte e tutto è già stato visto. Il Maestro si carica il poeta sulle spalle e si aggrappa al corpo peloso del demonio: si cala fino all’altezza dell’anca e lì, dopo una faticosa giravolta, inizia a salire lungo le cosce per poi fermarsi su una cornice rocciosa.

Dante è stupito, perché vede le gambe di Lucifero svettare verso l’alto e si accorge che è mattina, mentre un attimo prima era sera; Virgilio gli spiega che hanno attraversato il centro della Terra e sono sbucati agli antipodi nell’emisfero australe: questa disposizione geografica è proprio la conseguenza della caduta del demonio, fermo al centro dell’Universo, il luogo più lontano da Dio, con la testa verso le terre emerse e i piedi verso l’Eden. Capovolgendosi, Dante comprende che il mondo terreno è rovesciato rispetto alla giusta prospettiva divina; il suo cammino va nella direzione contraria alla linea di caduta di Lucifero e recupera la diritta via, quella che lo porta all’Eden e al Paradiso.

Lì dove si trovano Virgilio e Dante, un ruscello ha scavato una galleria nel terreno e risalendone il corso i due poeti sbucano sulla spiaggia che conduce alla montagna del purgatorio, in mezzo all’oceano australe. Uscito dall’inferno, Dante si lascia indietro anche l’oscurità e il rumore che lo hanno frastornato e spaventato lungo il percorso.

Partito da una “selva oscura” che è immagine del caos, “là dove il sol tace”, immerso per un gran tratto in una “aura senza tempo tinta”, in un “loco d’ogni luce muto”, il poeta è stato sopraffatto anche dalla cacofonia di sospiri, pianti, favelle strane, parole fioche, lamenti acuti, tumulti, tutti i suoni delle voci disumane del dolore: la dannazione si è materializzata in oscurità e rumore, in accenti snaturati e storpiati, nelle “dolenti note” della bufera infernale che investe i lussuriosi, o nel grido strozzato di Pier della Vigna.

Finalmente il nuovo paesaggio si apre nel chiarore di un’alba primaverile: la tonalità di un “oriental zaffiro” colora l’azzurro del cielo, lo splendore del pianeta Venere annuncia il sorgere del Sole, è fulgida la luce di quattro stelle luminose.

E dopo la luce, il mare incontaminato e calmo, o meglio “il tremolar de la marina”, la superficie d’acqua su cui si riflettono i bagliori delle prime luci del giorno.

E soprattutto c’è silenzio: dopo i rumori confusi e stridenti è nel silenzio che si recuperano la possibilità della meditazione e la percezione di suoni dolcissimi e armoniosi. I primi spiriti che arrivano, pronti ad iniziare il percorso di espiazione, cantano “tutti insieme ad una voce”, e tra queste anime Dante riconosce l’amico musicista Casella, che intona soavemente una canzone d’amore. E’ il preludio alle dolci note degli Inni e dei Salmi che accompagneranno i momenti liturgici durante la salita del monte, dall’Inno di compieta al “Te Deum”, all’”Agnus Dei”, all’”Osanna” intonato dagli Angeli.

Dopo il disorientamento delle tenebre infernali, di cui Dante porta ancora i segni sul viso e nell’anima, il poeta si deve abituare ad una nuova percezione dei sensi, il cammino è ancora lungo e deve prepararsi per bene alla visione abbagliante della “gloria di Colui che tutto move”, alla luce di Dio “che per l’universo penetra e risplende” e attraversa interamente il mondo.

A sottolineare la necessità di mantenere la giusta direzione e lo sforzo continuo dell’uomo di guardare in alto, la cantica si chiude con la parola “stelle”.

[Immagine: Miniatura dal Manoscritto Urbinate latino 365. Biblioteca Apostolica Vaticana. 1478 – 1482]

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Claudia Cominoli

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